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Carducci, “Pianto antico”: il dolore di un padre che ha perduto il figlio

Nell’opera poetica di Giosuè Carducci (Valdicastello, 27 luglio 1835 – Bologna, 16 febbraio 1907) è presente una dualità conflittuale tra vita e morte. Una delle sue poesie più famose, “Pianto antico”, riflette tale contrapposizione con grande efficacia.

Nell’opera poetica di Giosuè Carducci (Valdicastello, 27 luglio 1835 – Bologna, 16 febbraio 1907) è presente una dualità conflittuale tra vita e morte. Una delle sue poesie più famose, “Pianto antico”, riflette tale contrapposizione con grande efficacia.

La poesia di Carducci si muove fondamentalmente nel contrasto tra vita e morte. Questi due concetti sono espressi con immagini e simboli che spesso ricorrono nei suoi versi, quali: sole e ombra; luce e oscurità; suono e silenzio; terra verde e terra nera; calore e freddo.

Nella gamma di sfumature e varietà di toni, la poesia carducciana possiede un modo del tutto personale di percepire la vita. Nelle opere di Carducci si avverte la presenza di due forze che si completano e al contempo sono in conflitto: il sentimento della vita concepita nella sua pienezza e il sentimento della morte vissuta come privazione totale della vita, che reca in sé oltre a un senso di orrore anche una sorta di fascinazione.

Il tema della morte ha trovato espressione diretta in particolare in alcune poesie di Carducci, in quelle cioè, legate a esperienze personali dolorose. In questi componimenti sono più chiaramente evidenti i segni dell’incontro fra i due opposti: il poeta utilizza simboli inequivocabili, pienamente concreti.
Una delle poesie, dove siamo più vicini a sperimentare la simbiosi e il contrasto tra morte e vita è sicuramente: “Pianto antico”.

Questa poesia è dedicata al figlio di Carducci, Dante, ed è il quarantaduesimo componimento della raccolta “Rime nuove”.
In questa raccolta di poesie, scritte tra il 1861 e il 1887, è evidente l’influsso di vari autori stranieri, come Goethe, Baudelaire, Poe, Hugo, Heine. I contenuti e il modo in cui sono espressi sono in linea con gli scritti precedenti, anche se si avverte in questi ultimi una netta maturazione.
I temi di carattere sentimentale che emergono in “Rime nuove” riguardano l’infanzia associata al ricordo del paesaggio maremmano, come accade in “Traversando la Maremma toscana”, uno tra i componimenti di spicco della raccolta, un altro, molto conosciuto è, appunto, “Pianto antico”.

Il figlio di Carducci, morì il 9 novembre 1870 a soli tre anni di vita, probabilmente di tifo. La morte si verificò nella casa paterna, a Bologna, in via Broccaindosso. Il suo non fu certo un caso isolato, all’epoca, la mortalità infantile era più una consuetudine che una eccezionalità.

Il poeta, in una lettera indirizzata al fratello, raccontò il triste avvenimento con parole toccanti:
Il mio povero bambino mi è morto; morto di un versamento al cervello. Gli presero alcune febbri violente, con assopimento; si sveglia a un tratto la sera del passato giovedì (sono otto giorni), comincia a gittare orribili grida, spasmodiche, a tre a tre, come a colpi di martello, per mezz’ora: poi di nuovo, assopimento, rotto soltanto dalle smanie della febbre, da qualche lamento, poi da convulsioni e paralisi, poi dalla morte, ieri, mercoledì, a ore due” (lettera di G. Carducci al fratello Valfredo, 10 novembre 1870)

Dante era il primo figlio maschio di Carducci, nato dopo le due figlie: Beatrice e Laura. L’ultima figlia, Libertà, nacque nel 1872.
Il 1870 fu un anno particolarmente triste per il poeta che nel mese di febbraio aveva già perso la madre, Ildegonda Celli.
Questi due lutti, richiamano altro dolore: il ricordo della tragica morte del fratello, Dante, che appena ventenne, nel 1857, si suicidò. Carducci celebrò con un sonetto, “Funere mersit acerbo”, anche questa morte; la poesia è inclusa anch’essa in “Rime nuove”.

Nella poesia “Pianto antico”, Carducci sceglie di rappresentare la crudeltà della morte, confrontando il bambino morto prematuramente con un albero di melograno, albero che nell’orto ha appena generato nuovi germogli.
La pianta si apre alla vita ed è pronta a ricevere calore e luce, dopo il passaggio dell’inverno. Dante, invece, sepolto nella terra fredda di un cimitero, non potrà più godere né della luce del sole né dell’amore.
La mano del bambino protesa invano verso la pianta, per afferrare i suoi fiori, è un simbolo dell’inesorabilità della morte, dell’impossibilità di una giovane vita di poter “germogliare” all’arrivo della primavera.

La forma di questo componimento poetico è quello di una breve ode anacreontica (speciale componimento che si diffuse nel Settecento, in seguito alle Anacreontiche di Iacopo Vittorelli; si ispirava a temi giocosi, come l’amore, l’amicizia, la natura, il divertimento) in quartine di settenari. Lo schema è: abbc; il quarto verso è sempre tronco.

Il titolo della poesia “Pianto antico” si riferisce al pianto del padre che è antico, come il dolore che gli uomini pur nel passare dei secoli hanno avvertito di fronte alla morte.
Anche il melograno è un simbolo che proviene dal passato. Emblema della fertilità, della risurrezione e della rinascita, la melagrana, in particolare nell’arte rinascimentale italiana, era anche un motivo ornamentale utilizzato spesso anche nella scultura, come ornamento sepolcrale e nell’architettura classica era simbolo di morte. Inoltre, nella mitologia classica era la pianta sacra di Persefone, la sposa di Ade, sovrano dell’oltretomba.

Carducci utilizza termini ben precisi per mostrarci il contrasto tra la vita (“luce” e “calor”) e la morte (“pianta… inaridita”, “terra fredda”, “terra negra”).
Il ritmo della poesia richiama le nenie che si recitano ai bambini, ma questo componimento è privo della giocosità tipica di tali componimenti, gravata, invece, da una profonda rassegnazione e velata di tristezza. Una sorta di triste ninna nanna per un sonno eterno.

“Pianto antico” è considerato uno dei primi esempi di stile nominale: c’è nei versi una consistente presenza di nomi sia aggettivi sia sostantivi, mentre scarseggiano i verbi, utilizzati con funzioni diverse di aggettivo (“percossa e inaridita”) o in forme metaforiche (“rinverdì”).

La poesia contiene diverse figure retoriche. Sono presenti, inoltre, molte allitterazioni, in particolare si nota una certa insistenza sulla lettera “r” che contribuisce, con l’asprezza del suono che la caratterizza, a creare un clima cupo e stridente. Altrettanto ripetuto è il nesso “-or” che compare in “fior”, “orto”, “or ora”, “ristora”, “calor”, “amor”.
Altre allitterazioni riguardano le vocali “o” e “u” che comunicano con efficacia la triste pesantezza del dolore.

Carducci utilizza anche gli enjambements (procedimento stilistico consistente nel dividere una breve frase, o un gruppo sintattico intimamente unito, tra la fine di un verso e l’inizio del successivo), fin dal primo verso: “l’albero a cui tendevi / la pargoletta mano”.
Alcuni rivestono un significato particolare: “pianta / percossa e inaridita” (versi 9 e 10) che rinforza la dolorosa metafora.

Per creare una maggiore connessione tra i versi, il poeta si serve anche dell’iperbato (collocazione delle parole in ordine inverso rispetto al solito), ad esempio: “Tu” (verso 9) che si riferisce al figlio e il verbo “sei” (verso 13) separati da ben due incisi.

Nel testo ci sono anche alcune efficaci antitesi per rappresentare il contrasto tra vita e morte: “verde melograno” vs “pianta percossa e inaridita” (versi 3 e 10); “di luce e di calor” vs “terra fredda, […] terra negra” (versi 8 e 13-14).

I versi della poesia di Carducci guadagnano ritmo da un’altra figura retorica: l’anafora (consiste nel ripetere, a inizio verso o proposizione, una o più parole con cui incomincia il verso o la proposizione precedente) soprattutto nei versi finali: “tu” (versi 9 e 11); “sei” (versi 13-14); “né” (versi 15-16).

Al di là delle capacità letterarie di Carducci, del suo sapiente uso del ritmo e delle sue reminiscenze classiche, nonché dell’uso di una ricca e fervida simbologia di cui è intessuto “Pianto antico”, questa poesia può essere letta semplicemente come lo sfogo di un padre che ha perso suo figlio, e non serve alcuna analisi metrica approfondita per valutare lo strazio e il dolore che ha provato chi ha messo per iscritto questi versi.

L’albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da’ bei vermigli fior,

nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora,
e giugno lo ristora
di luce e di calor.

Tu fior de la mia pianta
percossa e inaridita,
tu de l’inutil vita
estremo unico fior,

sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.

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