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Cultura letteratura

Letteratura e morte: Leopardi, Balzac e Zola #5

Tre autori, Leopardi, Balzac e Zola, tre differenti modi di sentire e rappresentare la morte nelle loro opere letterarie.

Tre autori, Leopardi, Balzac e Zola, tre differenti modi di sentire e rappresentare la morte nelle loro opere letterarie.

Esaminando le opere di Giacomo Leopardi (Recanati, 29 giugno 1798 – Napoli, 14 giugno 1837), possiamo farci un’idea piuttosto chiara di come il poeta concepisse la morte, la vita e il dolore.

Nello “Zibaldone” (Zibaldone di pensieri, diario personale che riunisce una grande quantità di appunti, riflessioni e aforismi, scritti tra luglio e agosto del 1817, e dicembre del 1832), il dolore moderno è contrapposto al dolore antico. Prima, il dolore era considerato un castigo divino, ora diventa una costante nella vita dell’uomo, un male inevitabile che va accettato con rassegnazione: “La esistenza non ha in niun modo per fine né il piacere né la felicità degli animali”; “l’esistenza è un male per tutte le cose che compongono l’universo”.

Nella visione leopardiana, il dolore poi, si fonde con la malattia e con la gratuità dell’esistenza e ciò lo condusse a considerare in maniera positiva la morte. Ed è proprio a un coro di morti che, nella lirica del “Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie” (contenuta nelle “Operette morali”, composta a Recanati tra il 16 e il 23 agosto 1824), il poeta mette in bocca il concetto che la morte sia un punto indolore e quieto, che se non rappresenta l’inizio della felicità, perlomeno garantisce la fine del dolore: “In te, morte, si posa / Nostra ignuda natura, / Lieta no, ma sicura / Dall’antico dolor”.

Per Honoré de Balzac (Tours, 20 maggio 1799 – Parigi, 18 agosto 1850; scrittore, drammaturgo, critico letterario, saggista, giornalista, stampatore francese fra i maggiori della sua epoca, nonché principale maestro del romanzo realista del XIX secolo), invece, la concezione cinica della storia e dei rapporti umani, che emerge nella sua “Comédie Humaine” (La commedia umana, insieme di scritti, composta da 137 opere tra cui: romanzi realistici, fantastici e filosofici, racconti, saggi, studi analitici e novelle la cui stesura si estende dal 1831 al 1850), finisce per compenetrare anche il tema della morte.

Nei romanzi di Balzac, gran parte dei personaggi delle sue storie sono guidati da fini egoistici, di lotta per la sopravvivenza, e ciò che si ricava dalla lettura delle sue opere è che, generosità, bontà e sentimento non sono contemplati dalla società umana e finiscono per essere sopraffatti da altri valori, quali: potere, arrivismo e apparenza.
La morte in questo scenario negativo rappresenta uno dei momenti clou della narrazione, dove emerge più distintamente la degenerazione del sistema sociale. In “Papà Goriot”, dove il personaggio è un borghese, il quale ha due figlie che, grazie alla ricchezza che ha accumulato, è riuscito a inserire nell’alta società, ma in punto di morte, quando si aspetterebbe un minimo di gratitudine da loro, resterà invece solo in una misera pensione. Una sola delle figlie andrà a trovarlo, ma per chiedergli dei soldi.

Per Émile Zola (Parigi, 2 aprile 1840 – Parigi, 29 settembre 1902; scrittore, giornalista, saggista, critico letterario, filosofo e fotografo francese) il tema della morte non è parte integrante di tutte le sue opere, come avviene per Leopardi e Balzac. Essa acquisisce una certa rilevanza solo in alcuni romanzi, come ad esempio, in “Nanà”.

Questo romanzo di Zola è del 1880 e tratta la storia di una ragazza viziosa e mantenuta, che grazie alla sua bellezza diventa uno dei personaggi più rappresentativi della vita sociale e mondana del periodo storico in cui vive, il Secondo Impero.
La sua figura è l’emblema della sregolatezza di costumi della società francese dell’epoca e la sua morte simboleggia la fine di quel periodo storico. Zola rende palese questo fatto con un semplice espediente. Mentre delle prostitute di alto bordo, vegliano il corpo della protagonista, dalla finestra arrivano delle grida “A Berlino! A Berlino!“. Si tratta dell’imminente guerra franco-prussiana, che segnerà la terribile sconfitta francese a Sédan.
Zola ci fa capire che la Francia, che sotto Napoleone III ha vissuto nello scandalo e nel piacere, proprio come una prostituta, è inesorabilmente destinata a essere sconfitta, dalla Prussia. La morte per lo scrittore serve a veicolare un messaggio che, come sempre per lo scrittore francese, assume significati politici.
Il gelo del cadavere le riprese, e smisero di parlare tutte insieme, imbarazzate, messe nuovamente di fronte alla morte, con la sorda paura della malattia. Sul boulevard il grido risuonava, roco, lacerante: “A Berlino! A Berlino! A Berlino!” […]. Nanà restò sola, col viso all’aria, nel chiarore della candela. Era un carnaio, un ammasso di pus e sangue, una palettata di carne marcia, buttata là, su un cuscino”.

In copertina: “La grande vanità” di Sebastian Stoskopff (Musée de l’Œuvre Notre-Dame, Strasburgo)

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