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Le figure musicali della morte nelle opere di Giuseppe Verdi

Giuseppe Verdi è stato un grande musicista, con notevoli capacità drammaturgiche. Il suo singolare uso delle figure musicali della morte ha contribuito a dare unità alle sue opere e ad accrescere la loro capacità espressiva.

Giuseppe Verdi è stato un grande musicista, con notevoli capacità drammaturgiche. Il suo singolare uso delle figure musicali della morte ha contribuito a dare unità alle sue opere e ad accrescere la loro capacità espressiva.

Il melodramma tende alla tipizzazione, raffigurazioni e motivi cliché, come le figure della morte, sono particolarmente utili e Giuseppe Verdi ne fa un uso magistrale, dotandole della capacità di: esprimere musicalmente precise situazioni drammatiche e di dare visibilità e forza ai sentimenti e alle emozioni dei personaggi.

Inoltre, nelle opere di Verdi, il riapparire costante di tali figure musicali crea echi e richiami che generano unità e coesione nell’intera opera e, studiando il percorso di Verdi nel tempo, si riscontra una graduale maturazione da un’opera all’altra e un’unità fondamentale dell’ispirazione verdiana.

Verdi fa un ampio uso delle figure musicali di morte: La traviata (atto I, scena V) Violetta si chiede “saria per me sventura un serio amore?” l’orchestra risponde con una delle figurazioni di morte; Otello (Atto II, scena II) nel Credo, sorta di monologo cantato da Jago, il personaggio non fornisce alcuna giustificazione alle sue azioni malvagie ma ne spiega il significato, negatività e malvagità vengono espresse musicalmente dall’unisono e dal trillo di viole e clarinetti nel registro grave.

Restando nell’ambito della negatività espressa in forma musicale, esistono anche caratterizzazioni di personaggi d’intrigo.
I più vili e intriganti sono raffigurati da Verdi con un trillo (abbellimento formato dal rapido alternarsi della nota reale con la nota a distanza di seconda superiore o inferiore) in fortissimo, strumentato di solito per ottoni, esempi: Francesco Moor (I masnadieri); Paolo Albiani (Simon Boccanegra); Ramfis e i sacerdoti (Aida); Jago (Otello). Nel Falstaff il trillo d’intrigo compare in connessione con Bardolfo, Pistola e Mrs. Quickly.

Anche la paura della morte, il presentimento della morte e il momento stesso della morte sono esprimibili attraverso un “luogo comune” musicale che si ripete nelle opere di Verdi.
Tutte queste situazioni sono accompagnate da una caratteristica formula ritmica,

gli esempi più noti sono: nel finale dell’ultimo atto de La traviata; nel Miserere de Il trovatore; nelle battute che precedono il terzetto finale de La forza del destino. Inoltre, la stessa formula compare in quasi tutte le parti de I vespri siciliani e permea tutta l’opera fino a svolgere il ruolo di motivo conduttore.

Un’altra tipizzazione musicale che indica sicari, congiurati e personaggi simili è il coro in staccato e piano, generalmente affidato al coro maschile, esempi: i cori dei sicari ne I lombardi; le streghe in Giovanna d’Arco e Macbeth.

Un’altra formula (tremolo degli archi insieme a crome marcate affidate solitamente a violoncelli e contrabbassi) utilizzata nell’accompagnamento dei recitativi ha un significato negativo e indica l’eroe calato in una situazione fatale, esempi: il monologo di Rigoletto (Rigoletto); le prime parole di Amonasro (Aida); la decisione estrema presa nel III atto da Otello di uccidere Desdemona (Otello).

Un’altra tipizzazione musicale negativa riguarda la gelosia.
La descrizione musicale di questo sentimento è attuato mediante una linea melodica che si ripiega su se stessa; in pratica, la melodia, dopo un breve dispiegamento, solitamente nell’ambito della terza minore (intervallo fra due note di tre semitoni o un tono e mezzo, es. La-Do), torna al suono di partenza, alcuni esempi: “No, vendetta più tremenda” pronunciata da Don Silva (inizio II atto Ernani); ultima scena della Luisa Miller; ne Il trovatore, il conte di Luna utilizza questo tipo di melodia a più riprese (terzetto del primo quadro del III atto, duetto del primo quadro del IV atto); la gelosia di Alfredo (finale II, La traviata); in Un Ballo in maschera, Renato canta questo tipo di figurazione in modo quasi ossessivo sia nel finale II sia nel suo grande monologo; la frase di Eboli “Io sono la tigre” (terzetto del Don Carlos); scene di Amneris (Aida); Paolo Albiani, quando viene condotto all’esecuzione, nell’orchestra risuona una melodia costruita su terze minori, in forma originale e inversa, perché è la gelosia ad averlo condotto al suo stato attuale (Simon Boccanegra); la frase “È un’idra fosca, livida, cieca” cantata da Jago (Otello) contiene tre tipizzazioni negative (melodia della terza minore che si ripiega su se stessa, il trillo e l’unisono).

Queste figurazioni musicali della morte o comunque connotanti negatività non sono utilizzate solo da Verdi, tali espedienti sono stati ampiamente usati dai suoi predecessori, in situazioni analoghe, sia in Italia sia in Francia.
In effetti, la figura musicale della morte pare sia nata proprio in Francia e si deve a Giovanni Simone Mayr l’introduzione di tale figura in Italia. Mayr è considerato il collegamento tra l’opera del XVIII secolo e il melodramma del Risorgimento.

In Francia, le figure della morte furono largamente impiegate da Lully: nell’opera Amadis (atto II, scena terza), quando Arcalaus esprime il suo odio e il desiderio di distruggere Amadis, in un’aria il cui ritornello è imperniato sul motivo in anapesto; nell’atto III, scena terza, quando Arcabonne annuncia la morte ai prigionieri (il ritornello della scena riprende il motivo in anapesto); in Armide, quando l’eroina manifesta l’intenzione di uccidere Renaud (introduzione orchestrale utilizza un motivo anapestico).

Anche Rameau non disdegna l’uso della figura della morte: Hippolyte e Aricie ne è particolarmente ricca. Il compositore utilizza le tre formule: anapesto, giambo e peone, per rappresentare gli inferi e per richiamare l’idea della morte.

Anche Gluck nell’Alceste (versione francese) utilizza il motivo in anapesto suonato dai corni e poi in delle sezioni rapide dal trombone e strumenti a fiato in moto ascendente graduale. Anche il coro delle divinità infernali è accompagnato dallo stesso motivo in ostinato.

Salieri fa anche lui uso della figura della morte e durante la rivoluzione e l’era napoleonica, molte partiture d’opera contengono la figura della morte, con una presenza più massiccia che in precedenza, forse perché in questo periodo gli intrecci delle opere sono più realistici.

Diversi esempi di questo topos appaiono anche ne La Vestale e nel Fernand Cortez di Spontini, e nella prima opera francese di Cherubini: Démophoon.

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