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La tragedia nella tragedia: le vicissitudini di “Un ballo in maschera” di Verdi

Nelle opere musicali, almeno quelle “serie”, la tragedia è di casa.
Morte, malattie, malvagità umane, colpi impietosi del destino e persino presagi di morte erano il pane quotidiano per librettisti e compositori di melodrammi.
Ma spesso, situazioni melodrammatiche si verificavano anche durante la genesi di un’opera.
Un ballo in maschera è uno dei tanti esempi di queste vicissitudini “tragiche” che musicisti e drammaturghi si trovavano a dover affrontare, in un’epoca in cui la censura era ferrea e imponeva non poche costrizioni ai poveri artisti.

Nelle opere musicali, almeno quelle “serie”, la tragedia è di casa.
Morte, malattie, malvagità umane, colpi impietosi del destino e persino presagi di morte erano il pane quotidiano per librettisti e compositori di melodrammi.
Ma spesso, situazioni melodrammatiche si verificavano anche durante la genesi di un’opera.
Un ballo in maschera è uno dei tanti esempi di queste vicissitudini “tragiche” che musicisti e drammaturghi si trovavano a dover affrontare, in un’epoca in cui la censura era ferrea e imponeva non poche costrizioni ai poveri artisti.

L’opera in musica, per lo più, mette in scena delle tragedie, combinando più o meno abilmente gli elementi che ha a disposizione e confidando su un punto fermo: qualcuno, a un certo punto della storia, morirà.

In molti casi, la tragedia non è solo all’interno dell’opera.
Infatti, musicisti e librettisti, spesso, dovevano affrontare non pochi ostacoli prima di poter andare in scena.
Oltre ai problemi con i committenti, c’erano gli scontri con la censura che spesso rendeva impossibile lavorare a un soggetto.
Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi è un po’ un caso esemplare di queste piccole tragedie quotidiane nel mondo dell’arte, tanto che possiamo parlarne come di una tragedia nella tragedia.

L’opera fu ispirata da un fatto di cronaca nera: l’attentato ai danni di Gustavo III, re di Svezia, per mano di un ex capitano del suo reggimento reale, Jacob Johan Anckarström.
Il sovrano fu ferito da un colpo di pistola all’Haga Palace, mentre si stava organizzando un ballo mascherato. Il re non sopravvisse all’attentato del 16 marzo: morì pochi giorni dopo, il 29 marzo del 1792.

Non era la prima volta che questo avvenimento finiva sulla scena. Era già stato messo in chiave musicale in diverse occasioni prima di solleticare il genio di Verdi.
Nel 1833, Daniel Auber lo portò in scena con il titolo di Gustave III, ou Le Bal masqué, al Théâtre de l’Opéra di Parigi. Auber realizzò un grand opéra in 5 atti, con balletti nel I e nel V, il libretto era di Eugène Scribe.
1840-1841, Vincenzo Gabussi plasma un melodramma in tre atti su libretto di Gaetano Rossi; la rappresentazione avrà luogo al Gran Teatro La Fenice di Venezia con il titolo: Clemenza di Valois.
Nel febbraio del 1843, Saverio Mercadante realizza un’opera in tre atti, Il Reggente, su libretto di Salvatore Cammarano; la prima rappresentazione avverrà al Teatro Regio di Torino.
Nel 1834, Vincenzo Bellini voleva cimentarsi a sua volta sullo stesso argomento e destinare la rappresentazione a Napoli, ma la sua salute non glielo permise: il compositore morì il 23 settembre 1835.
Il libretto di Scribe fu la fonte da cui tutte le messe in scena successive trassero ispirazione.

Un ballo in maschera (all’inizio il titolo proposto era Una vendetta in domino) è oggetto di uno snervante braccio di ferro, snervante almeno per i protagonisti sia quelli in prima linea: Giuseppe Verdi e Antonio Somma (librettista) sia quelli di contorno, impresari e faccendieri che prima a Napoli e poi a Roma si prodigarono per far sì che l’opera potesse arrivare in teatro.

Lo scoglio da superare era la censura che pretese cambiamenti gravosi: dalla collocazione geografica dell’azione all’ambientazione storica; si oppose persino al titolo dell’opera e costrinse a un vero e proprio balletto per quanto riguarda la qualifica del protagonista: re, mai e poi mai, duca, forse… ma con l’attentato a Napoleone III il 14 gennaio a opera di Felice Orsini tutto è rimesso in discussione.

A Napoli, la censura impone condizioni impossibili e Verdi si rifiuta di accettarle e decide di sciogliersi dal contratto; la direzione del San Carlo gli fa causa e il musicista risponde con una querela per danni.
Alla fine la faccenda si ricompone, ma impossibilitato a realizzare l’opera a Napoli, Verdi fa rotta verso Roma.

Location, epoca storica, titolo dell’opera saranno modificati rispetto al testo che era stato approntato per il San Carlo, ma a Roma, la mano della censura sembra meno severa di quella napoletana e dopo aver rimaneggiato epoca storica e titolo dell’opera, si può finalmente iniziare a mettere mano seriamente alla musica in vista di una rappresentazione.

Alla fine dei tira e molla con la censura, il protagonista diventa il conte di Warwich, governatore della colonia inglese del Massachusetts, sotto il regno di Carlo II; la location dalla Svezia è traslata in nord America, a Boston; l’epoca è fissata alla fine del XVII secolo.

Finalmente, librettista e compositore possono mettersi all’opera.
Somma dovrà rivedere un certo numero di versi che la censura ha rifiutato, mentre Verdi è convinto che in questa nuova forma il libretto non perda nulla, anzi, la decisione di cambiare luogo dell’azione è un vantaggio. Il musicista ha solo un cruccio: il cast, per niente soddisfacente, ma Vincenzo Jacovacci, impresario indipendente, non può permettersi i fasti del Teatro di Corte di Napoli.

Nonostante tutti gli ostacoli incontrati lungo il percorso che dall’idea aveva condotto all’opera finita, Verdi riuscì a far rappresentare in teatro Un ballo in maschera: la prima fu il 17 febbraio 1859, al Teatro Apollo di Roma, e l’opera ebbe lo stesso successo di pubblico cui il musicista si era abituato dai tempi del Trovatore.

Non mancarono le critiche: secondo alcuni, Verdi era troppo influenzato dalla musica francese; altri deprecavano la mancanza delle consuete forme musicali; altri ancora demolirono il libretto definito “una profanazione in versi”.

In realtà, Un ballo in maschera, se si considerano le opere composte tra La Traviata e Aida, fu quella che resse meglio il palcoscenico, perché tra tutte è quella più vicina alla perfezione sia formale sia nell’equilibrio delle idee.
Quindi, nonostante la trama assurda, la collocazione temporale inadeguata, il libretto pieno di imperfezioni, Verdi riuscì a realizzare un capolavoro.

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