Le figure musicali della morte sono degli espedienti, delle convenzioni divenute topoi, per esprimere sentimenti o situazioni negative nei melodrammi.
La musica ha sempre avuto uno stretto legame con la parola.
Esprimere emozioni e sentimenti mediante ritmo, melodia o una felice combinazione di entrambi ha rappresentato una sfida che ha impegnato compositori e librettisti tesi a realizzare un dramma compiuto che unisse alla forza, al senso e al carattere delle parole la fascinazione e la capacità espressiva della musica.
Sin da tempi remoti esiste un’analogia tra figure dell’arte musicale e quelle dell’arte retorica.
Repetitio, conversio, complexio sono solo alcune delle figure o colori retorici la cui spiegazione riempiva trattati sulla composizione poetica tra il 1100 e il 1200.
Più tardi, parliamo del 1240 ca., troviamo una trattazione analoga in ambito musicale sulle figure retorico-musicali (color).
In musica, la funzione delle figure retoriche è quella di condurre l’ascoltatore a una “interpretazione affettiva” del testo musicale che avviene mediante l’uso di artifici e metodi tipici dell’arte retorica.
Nel corso del tempo, questi espedienti divennero dei cliché e non rimasero confinati all’epoca medievale ma continuarono a essere utilizzati anche durante il rinascimento e il barocco, anzi, proprio in epoca rinascimentale, grazie ai madrigalisti (compositori di madrigali in poesia e in musica), si stipulano patti sempre più stretti e particolari tra musica e parola.
All’inizio, la musica era serva dell’orazione, ma in seguito alla maturazione dei processi armonici, la musica diventa capace di costruire discorsi di note e ci si rende conto che possiede possibilità drammatiche che superano addirittura quelle della parola.
Per dare una forma di riconoscibilità e creare un senso di unità, la musica usa motivi caratterizzati ritmicamente o con delle scritture riconoscibili (scale ascendenti o discendenti, melodie ad arco che tornano alla nota di partenza, ecc.) che diventano topoi (luoghi comuni), convenzioni atte a rappresentare delle parole, delle particolari situazioni o dei sentimenti.
Tra queste “connotazioni” musicali, nate per esprimere particolari situazioni o emozioni, annoveriamo l’unisono (di due o più suoni o voci simultanee e di uguale altezza) sia della voce sia dell’orchestra, o anche solo dell’orchestra, esso esprime orrore, tradimento, vendetta, paura, infamia, morte, apparizioni soprannaturali, questo almeno nell’opera seria, in quella buffa assume tutt’altra connotazione: serve a esprimere ironia, con la quale si vuole mettere in ridicolo la vigliaccheria dei presunti eroi o le debolezze del loro carattere.
L’impiego dell’unisono con questa caratterizzazione è presente sia nell’opera veneziana sia in tutti gli altri generi vocali della seconda metà del XVII secolo.
È con Mozart, però, che l’unisono, usato fino a quel momento in modo convenzionale, diventa mezzo di caratterizzazione.
Queste particolari figurazioni musicali hanno una lunga storia e continuano a essere utilizzate fino al XVIII e XIX secolo; erano impiegate dai compositori con dei testi specifici o con ben individuate situazioni drammatiche.
Il topos funziona grazie a una costante associazione a una data idea, situazione o concetto.
Si può creare un topos all’interno di un singolo lavoro, come avviene nel Don Giovanni di Mozart: una formula cadenzale piuttosto comune, gradualmente, finisce per rappresentare il tradimento.
Tali convenzioni musicali non appartengono a un solo compositore, ma si trasmettono di generazione in generazione.
Tra i vari topoi ritmico-musicali, particolare fortuna ha avuto la “figura musicale della morte”, questo singolare espediente ha origini molto antiche e, molto probabilmente, proviene da tradizioni popolari più che dalla musica d’arte.
Solitamente compare in tre versioni collegate che si possono descrivere, prendendo in prestito la metrica antica:
- anapesto, due brevi e una lunga (⌣ ⌣ -́)
- doppio giambo risolto, quattro brevi e una lunga (⌣ ⌣ ⌣ ⌣ -́)
- peone, tre brevi e una lunga (⌣ ⌣ ⌣ -́)
L’accento cade sulla sillaba lunga.
Questi tre motivi che simboleggiano la morte sono musicalmente resi ricalcando semplicemente il modello ritmico, per cui sono composti da note della stessa altezza; rispettando la metrica, l’ultima nota di ogni piede è più lunga ed è accentata.
Questo tipo di figurazioni può avere anche un uso più esteso: l’anapesto è spesso utilizzato in collegamento con la battaglia o la guerra; il doppio giambico risolto può fare riferimento a emozioni forti, come paura e tremore.
Questa molteplicità consente al compositore di usare anche in maniera ambigua tali figure, immettendole nel tessuto musicale anche in tempi non sospetti, a indicare una futura morte tragica, in pratica, sono impiegate in qualità di presagio.
L’uso di tali raffigurazioni è utile non solo per esprimere specifici sentimenti ed emozioni, ma serve a generare un’unità drammatica.
Il teatro di prosa e quello musicale sono caratterizzati da differenze sostanziali: nel dramma, solitamente, prevale l’azione sulla riflessione, nel melodramma accade il contrario; l’eroe di un dramma è caratterizzato grazie alle sue azioni, quello melodrammatico mediante le sue arie, i suoi monologhi e la musica in generale; il dramma esalta i tratti individuali del personaggio, l’opera punta su caratteristiche generiche e tipizzanti; il teatro di prosa usa quale mezzo espressivo principale il movimento e la mimica degli attori, il melodramma si avvale della musica che fornisce un’ulteriore dimensione.