Enea era uno degli eroici viaggiatori che spinsero la loro audacia al punto di affrontare un rischioso viaggio nel regno degli Inferi e poi ne fecero ritorno.
Enea, figura della mitologia greca e romana, era figlio di Anchise (cugino di Priamo, re di Troia) e di Venere (Afrodite per i Greci).
Partecipò alla guerra di Troia dalla parte dei Troiani e si distinse per il suo coraggio.
Protagonista dell’Eneide di Virgilio, poema in cui sono narrati gli eventi successivi alla caduta di Troia, Enea si trovò ad affrontare molte vicissitudini, tra cui anche un viaggio di andata e ritorno nell’Ade.
Vediamo come si svolse la vicenda.
Innanzitutto, una premessa: Enea non si recò nel regno dei morti per capriccio o curiosità; diciamo che tutti coloro che, nella letteratura, hanno compiuto tale passo, lo hanno fanno con motivazioni più che valide.
Del resto, chi affronterebbe un viaggio del genere con leggerezza?
All’inizio del racconto di Virgilio veniamo a sapere che Troia era caduta, ed Enea, insieme alla sua flotta, si spostava dal Mediterraneo orientale verso il Lazio, qui doveva fondare una nuova stirpe, ma come accade in qualsiasi storia avvincente, subito si profilò il primo ostacolo, nelle vesti di Giunone. La dea aveva sete di vendetta, perché aveva perso la sfida di bellezza con la madre di Enea, Venere.
Tra tempeste e interventi di varie divinità (pro e contro l’eroe), Enea raggiunse Cartagine e da qui, sedotta e poi abbandonata Didone – non per suo volere, ma a causa di Giove – ripartì con la sua flotta, alla volta della Sicilia e qui gli apparve in sogno il fantasma di suo padre, Anchise, che lo invitò a compiere un viaggio nell’oltretomba, con la supervisione di una sibilla.
Per mettere in atto l’ambizioso progetto, Enea doveva prima raggiungere Cuma, dove si trovava la sibilla, Deifobe di Glauco, e anche l’accesso all’oltretomba. L’eroe, quindi, ripartì determinato con la sua flotta per la nuova destinazione.
Dedichiamo un breve siparietto alle sibille. Queste erano giovani vergini, ritenute più longeve dei comuni mortali e dotate di capacità divinatorie.
La Sibilla Cumana era quella che noi oggi definiremmo un pezzo grosso: una delle più importanti sibille, somma sacerdotessa italica che presiedeva l’oracolo di Apollo e di Ecate.
Chi desiderava conoscere il proprio futuro poteva consultarla nel suo modesto “pied-à-terre”, nei pressi del Lago d’Averno, una caverna conosciuta come l’ “Antro della Sibilla”.
Riprendiamo Enea che nel frattempo è sbarcato a Cuma armato di speranza.
A colloquio con la sibilla, il nostro eroe apprese che lo attendevano sanguinose guerre e un altro temibile avversario da affrontare. Conosciuto il suo destino, Enea era pronto a compiere il viaggio nel regno dei morti, ma prima di condurre l’eroe negli Inferi, la sibilla gli fece cercare un ramo d’oro da offrire a Proserpina (Persefone per i Greci) e lo esortò a compiere sacrifici per le divinità dell’Ade.
Virgilio ci ha mostrato con efficaci parole quello che i due viaggiatori si trovarono davanti all’inizio del loro percorso:
“V’era una profonda grotta, immane di vasta apertura,
rocciosa, difesa da un nero lago e dalle tenebre dei boschi,
sulla quale nessun volatile poteva impunemente dirigere
il corso con l’ali; tali esalazioni si levavano
effondendosi dalle oscure fauci alla volta del cielo” (vv.237-242, Eneide)
Giunti al fiume infernale, Acheronte, Enea e Deifobe incontrarono le anime in pena, coloro, cioè, i cui corpi giacciono insepolti; tra questi c’era anche Palinuro, il nocchiero di Enea, che lo supplicò di dargli sepoltura. Purtroppo, il suo era un desiderio irrealizzabile, ma la sibilla gli rivelò che, anche se il suo cadavere non sarà mai ritrovato, i suoi assassini erigeranno un cenotafio in suo onore, che conserverà per sempre il suo nome.
A questo punto, iniziarono gli incontri con i “vip dell’aldilà”.
Prima di tutti Caronte, il traghettatore dell’Ade che vorrebbe fermarli.
Virgilio lo qualificò come un dio, “vegliardo, ma di crude e verde vecchiezza”, con una barba bianca e incolta, occhi di fiamma e un mantello lurido annodato al collo.
Il “taxista” mitologico, sempre secondo Virgilio, non trasportava tutte le anime, ne sceglieva solo alcune: quelle che erano state decorosamente sepolte e che potevano pagare il viaggio, grazie alla monetina che era usanza lasciare accanto al corpo dei defunti.
Altro terribile incontro fu quello con Cerbero, sanguinario, enorme e mostruoso cane mastino, dotato di tre teste che fu superato grazie all’astuzia che si userebbe con un qualsiasi cane domestico: la sibilla gli gettò una focaccia di miele intrisa di erbe soporifere. Cerbero non ci pensò su due volte, afferrò con fame rabbiosa il cibo e i nostri due viandanti proseguirono indisturbati il loro viaggio.
Nella scena successiva, Enea e la sibilla si ritrovarono nei Campi del Pianto, dove soggiornavano le eroine morte per amore. Subito dopo, arrivarono al campo degli eroi, dove si trovavano le anime dei guerrieri morti in guerra.
Più avanti, il regno dei defunti presentava una biforcazione, dove avveniva lo smistamento delle anime: a sinistra, nel Tartaro, erano indirizzati i defunti colpevoli; a destra, nei Campi Elisi, erano inviate le anime virtuose.
Il Tartaro era una città enorme, circondata dal fiume Flegetonte.
La città dei “malvagi” era inaccessibile a chi non aveva commesso delitti, per cui i due viandanti proseguirono verso i Campi Elisi, dove oltretutto erano diretti per incontrare Anchise. Quando lo avvicinano, il padre di Enea si trovava su una valletta, stava osservando le anime che si preparavano per una reincarnazione.
L’incontro tra padre e figlio fu commovente, Enea provò, senza successo, ad abbracciare l’immagine incorporea di Anchise, quando questi gli si avvicinò, poi il padre gli mostrò i discendenti di entrambi, che una volta reincarnati avrebbero portato grande fama e lustro.
Terminata la visita, Enea e Deifobe si prepararono per il ritorno.
Esistevano due porte per uscire dal regno dei morti, le cosiddette Porte del Sonno: la porta di corno (dei sogni veri) e quella d’avorio (dei sogni falsi). Anchise indicò alla sibilla e a suo figlio la porta d’avorio, attraverso la quale lasciare gli Inferi e tornare al mondo dei vivi.
Il regno dell’aldilà descritto da Virgilio era un luogo ben definito con una geografia complessa, così come era complesso il concetto di destino delle anime nell’Ade.
Nell’Eneide le anime dei defunti soggiacevano a un giudizio ultraterreno che si basava sul comportamento tenuto durante la vita.
Nella cultura greca antica la contrapposizione premio-punizione non esisteva; iniziò ad affermarsi solo intorno al V secolo a.C.
In copertina: Il sogno di Enea di Théodore Géricault