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Tanatologica(mente)

Tafofobia: la paura di essere sepolti (ancora) vivi

Tra le più temute paure, troviamo la Tafofobia, la paura di..trovarsi, ancora vivi, sepolti e rinchiusi entro una bara. Questa fobia è da sempre presente nella storia dell’uomo e, in particolare, fu in epoca Vittoriana che vennero escogitati alcuni stratagemmi per evitare che ciò accadesse.

L’epoca vittoriana fu, per l’appunto, il periodo in cui questo tipo di paura prese talmente il sopravvento da dover prendere dei provvedimenti.

Il decesso, all’epoca, non era un fatto verificabile attraverso i mezzi scientifici contemporanei, come ECG o Encefalogrammi, bensì venivano utilizzati metodi più spartani ed ai nostri occhi un poco assurdi!

La morte era “di casa”, la gente moriva per le più disparate motivazioni, dalla semplice influenza al morbillo, dalla peste al colera alla tubercolosi..i numeri, poi, erano elevatissimi, e nessuno veniva graziato fossero bambini, donne o uomini.

Nelle morti di massa sicuramente, in passato, poteva anche capitare che gli stessi moribondi venissero gettati insieme ai cadaveri finendo così la propria esistenza, nello strazio e nell’indifferenza totale.

Diversi testi rimandano a casi ed esempi di feretri ritrovati aperti o grattati al loro interno: lo stesso Edgar Allan Poe ne “Il gatto nero” racconta la storia di sepolture a persone ancora vive, così come in innumerevoli romanzi gotici.

Credits: ilsalonedellutto

Fino alla scoperta, dunque, di metodi avanguardistic, questa prassi si palesò per molto tempo sino a quando non comparirono i primi esempi di safety coffin, i feretri di sicurezza.

Questi meccanismi aiutavano, cioè, coloro che malauguratamente potessero ritrovarsi (svegliarsi) dentro una bara già sepolta..magari di notte, che bello eh?

Scherzi a parte, uno dei metodi poteva essere quello di un campanello che permettesse, dall’interno della bara, di tirare il cordino direttamente legato al campanello che rimaneva in superficie, così da dare l’allarme.

Ma non solo.

Vennero ideate vie di fuga, come scalini porte e tubi di alimentazione (ma non di areazione, non evitando così la morte per soffocamento).

Credits: curioctopus

Il primo esempio di safety coffin fu collaudata per Ferdinando di Brunswick, un duca che morì nel 1792. Negli anni precedenti al decesso, diede disposizione per l’appunto di escogitare un modo per fuggire qualora fosse rimasto sepolto vivo.

La tomba presentava una sorta di finestrella che consentisse l’entrata della luce, un tubo d’areazione ed un coperchio chiuso da una serratura, e non con delle viti.

La serratura, come mai avrebbe potuto aprirla? Semplice, gli erano state riposte due chiavi nelle tasche, di modo che potesse aprire il feretro e la porticina che lo avrebbe riportato in superficie.

In realtà vennero provati diversi sistemi per, nel caso di morte apparente, far sì che il poveretto potesse in qualche modo salvarsi.

Esistevano altresì le cliniche per i morti, dove la salma (o presunta tale) veniva lasciata in osservazione sino a decesso accertato. Era cioè una specie di camera mortuaria dove per lo più erano i più ricchi a potersi permettere di lasciare là il proprio caro, anche perchè in passato i defunti erano celebrati con una veglia in casa e poi, dritti al funerale.

Provate ad immaginare, però, nel periodo estivo, e magari con qualche pandemia in corso..!

Ecco dunque, niente paura. I moderni mezzi fan sì che questo tipo di “problema” non possa capitare nemmeno per errore!

Di Beatrice Roncato

Tanatologa Culturale, Tanatoesteta e Cerimoniere Funebre

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