Nell’opera di Mozart, il personaggio di Don Giovanni è il fulcro e il motore che spinge gli eventi. Solo un potere soprannaturale, il Convitato di pietra, potrà arrestare la sua forza distruttrice.
Sin dall’Overture avvertiamo la singolarità del Don Giovanni di Mozart.
Il musicista ha scelto di iniziare con la musica che riveste la fase culminante della storia: l’apparizione della statua del Commendatore, per cui, quando il Convitato di pietra (ossia il Commendatore defunto) apparirà nel finale dell’opera, il cerchio musicale si chiuderà; il suggello è dato dalla musica dell’Andante con moto dell’Overture che sarà ripreso nella penultima scena, nel momento in cui il Convitato di pietra entra in casa di Don Giovanni.
Proseguendo con l’introduzione, ci troviamo di fronte a un crescendo drammatico suddiviso in quattro sezioni, nell’ultima, l’Andante, assistiamo alla morte del Commendatore.
Mozart e Da Ponte hanno scelto di immergere subito il pubblico in un’azione incalzante e violenta. Non avveniva così nell’opera buffa che, solitamente, prevedeva aperture molto più ordinarie; inoltre, è rarissimo trovare esempi simili, in cui tutto l’intreccio trae forza e impulso dalla prima scena.
Il personaggio di Don Giovanni è l’elemento propulsore di tutta l’opera, la sua devastante personalità, che infrange ogni regola e provoca la distruzione di ogni accordo possibile tra gli individui, è anche la forza dominatrice di tutti gli eventi.
Le azioni del protagonista causano reazioni pari e opposte, così l’intera opera si fonda su un bipolarismo, un contrapporsi di forze dotate di pari intensità: da un lato Don Giovanni e dall’altra Donna Anna, sua antagonista.
Il conflitto tra queste due realtà è insanabile e sarà risolto solo grazie all’intervento di una forza soprannaturale.
L’incontro con le forze superiori, incarnate dalla statua del Commendatore (ucciso in duello all’inzio dell’opera da Don Giovanni), avviene in un cimitero, quando servo e padrone si ritrovano, dopo aver superato diverse vicissitudini. Questa scena non è che un anticipo dell’ultimo appuntamento.
L’aver fornito una precisa identità all’entità soprannaturale è una novita rispetto alla leggenda popolare e fornisce ulteriori motivazioni alla punizione finale del dissoluto.
Per quanto riguarda il tema dell’invito a cena, nel libretto di Bertati, a cui Da Ponte si è ispirato, Don Ottavio applica un’iscrizione al monumento funebre del Commendatore e questo fa sorgere in Don Giovanni l’idea di invitare la statua a cena. Da Ponte invece gestisce la motivazione drammaturgica dell’invito in modo diverso: lascia che sia la statua ad agire di propria volontà, facendo sentire la sua voce; a quel punto, a Don Giovanni verrà l’idea di invitarla a cena.
Scene cimiteriali di questo tipo compaiono spesso nell’opera seria e rivestono, solitamente, un notevole interesse anche dal punto di vista musicale.
La scena presente nel Don Giovanni richiama quelle simili del genere serio, anche se in larga parte in forma caricaturale. Inoltre, la soluzione mozartiana si differenza anche per un’atmosera spensierata: il duetto fra servo e padrone è leggero, allegro, finché il clima muta a causa dell’intervento della statua che non si limita a un semplice intervento oracolare (come accadeva in gran parte delle opere serie), ma appare e agisce in prima persona.
Nella scena XIX del secondo atto, il Convitato di pietra si reca a casa di Don Giovanni e lo interrompe mentre sta cenando.
Questa scena è costruita seguendo lo schema dell’antica leggenda popolare dell’invito a cena che un messaggero dell’aldilà riceve e a sua volta ricambia. In più in questa scena, rispetto alla tradizione, c’è l’esplicita richiesta di pentimento da parte della statua e in risposta, il netto rifiuto di Don Giovanni.
Interessante è anche l’insistenza sul tema del cibo che sembra fare riferimento ad antichi rituali mortuari. Don Giovanni, quando viene interrotto dalla statua del Commendatore, sta mangiando e ancora non sa che sarà il suo ultimo pasto, il suo pasto funebre.
Inoltre, il cibo divide i due mondi, quello terreno da quello ultraterreno, la statua del Commendatore lo ribadisce nei suoi versi: “Non si pasce di cibo mortale / chi si pasce di cibo celeste”.
La figura di Don Giovanni suscitò grande scandalo, soprattutto negli ambienti ecclesiastici, quando fu messa in scena da Molière, perché rappresentava in un certo modo un’esaltazione del libertinismo e altrettanto deprecabile era considerata la figura del servo irriverente e cinico che alla fine, pur di fronte alla punizione esemplare del suo padrone, esclama: “II mio salario! Il mio salario! Per carità, e i miei salari? Vorreste che vi seguissi all’inferno per farmi pagare?”
Nell’Ottocento, invece, il personaggio di Don Giovanni che sprofonda all’inferno diventa una sorta di eroe del pensiero libero moderno e l’impenitente libertino finirà per essere associato ad altre grandi figure simboliche del pensiero europeo, tutte nate intorno al Seicento: Don Chischiotte, Faust e Amleto.
Un allestimento del Don Giovanni di Mozart, nel 1791, ha fatto dire della commedia: “l’occhio è appagato, l’orecchio incantato, la ragione offesa, la morigeratezza oltraggiata, e il vizio calpesta la virtù e i sentimenti”.
Gusto, costumi e moralità hanno subito e subiranno modifiche nel tempo, ma sicuramente una cosa non cambierà: la “musica sublime quant’altre mai”.