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Cultura musica

Amy Winehouse: una voce potente in un’anima fragile

Una voce come poche e una vita breve quella di Amy Winehouse, la cantante britannica che ha lasciato un segno indelebile nel mondo della musica.

Una voce come poche e una vita breve quella di Amy Winehouse, la cantante britannica che ha lasciato un segno indelebile nel mondo della musica.

Se morissi domani, sarei una ragazza felice”. Queste parole, pronunciate dalla cantautrice e produttrice discografica Amy Winehouse, sono state una sorta di premonizione che si è realizzata fin troppo presto.

Amy Jade Winehouse, nata a Londra il 14 settembre 1983, fece il suo esordio nel mondo della musica nel 2003, con la pubblicazione dell’album in studio, “Frank”, per l’etichetta discografica Island.
Il disco ottenne un buon successo di pubblico e critica, ma bisogna attendere il 2007 perché la cantante raggiunga l’affermazione definitiva, con il suo secondo album, “Back to Black”, che, grazie ai singoli “Rehab”, “Love Is a Losing Game” e l’omonima traccia “Back to Black”, scala le classifiche mondiali e decreta definitivamente il successo e persino la vittoria di ben cinque Grammy Awards.

Successivamente, la notorietà di questa promettente artista fu dovuta più a problemi registrati nella sua vita privata che alla musica. La Winehouse fece parlare di sé a causa dei gravi problemi di droga e alcol, e per i suoi disturbi alimentari, che, nel loro insieme, provocheranno un ritardo nella realizzazione del suo terzo album e la condurranno poi, a una prematura morte.

Il decesso di Amy Winehouse avvenne, alle 15:53 del 23 luglio 2011. La cantante britannica fu rinvenuta morta nel letto di casa sua, a Londra, al numero 30 di Camden Square.
Il personale sanitario accorso immediatamente sul posto non poté fare nulla, tranne constatarne il decesso.
L’autopsia fu effettuata il 25 luglio, ma non stabilì con precisione le cause della morte.
Dopo ulteriori esami tossicologici e istologici, il 24 agosto 2011, un portavoce della famiglia comunicò che le analisi non avevano rinvenuto sostanze stupefacenti nel corpo della cantante, solo tracce di alcol, che però non sembravano essere la causa della morte di Amy Winehouse.

Il 27 ottobre 2011 furono resi noti gli esiti degli esami tossicologici che evidenziarono una presenza di alcol nel sangue cinque volte superiore al limite consentito per la guida. Fu così stabilito che la morte della cantante britannica fosse dovuta a uno shock definito “stop and go”, in poche parole la morte era stata provocata dall’assunzione di una massiccia dose di alcol dopo un lungo periodo di astinenza.

Nel 2011, durante l’ultima udienza dell’inchiesta sulla morte della cantante, Andrew Morris, guardia del corpo della Winehouse, riferì che la sera in cui la donna era deceduta, in casa c’erano soltanto loro due. Lui aveva ordinato una cena da asporto in un ristorante indiano del quartiere e la cantante era andata a mangiarla da sola nella sua stanza. L’unica stranezza della serata, che però al momento non aveva preoccupato Morris, fu il fatto che la Winehouse guardava al computer, come ipnotizzata, le immagini dei suoi concerti su Youtube, cosa che non aveva mai fatto prima, mentre beveva vodka.

Il mattino successivo, la guardia del corpo era andata a controllare se la cantante fosse sveglia. Vedendola ancora a letto, aveva pensato stesse ancora dormendo. Più tardi, però, a un successivo controllo, riscontrato che la donna era ancora nella stessa identica posizione aveva iniziato a preoccuparsi. Quando le aveva controllato il polso, non aveva avvertito alcun battito e aveva notato diverse bottiglie vuote di vodka nella stanza. Purtroppo, ormai era troppo tardi per salvare la cantante.

La Winehouse era riuscita a sconfiggere la dipendenza dalla droga, ma pochi giorni prima di morire aveva ricominciato a bere esageratamente. Infatti, in base alle testimonianze emerse durante l’inchiesta era risultato che, nella sua ultima settimana di vita, la cantante era svenuta tre volte per eccesso di vodka.
Inoltre, la sera in cui era deceduta aveva inviato un tweet delirante, segno che era ubriaca.

In ogni caso, almeno secondo le dichiarazioni del suo medico personale, Cristina Romete, che aveva incontrato Amy la sera prima della sua morte, la cantante non aveva alcuna intenzione di uccidersi. Purtroppo, non era riuscita a fermarsi da sola e nessuno era con lei ad aiutarla.

La notizia della sua morte ha indotto moltissimi fan a inviare messaggi di cordoglio, lasciati nei vari social network e anche fisicamente davanti alla sua casa.

Il funerale della Winehouse è stato celebrato il 26 luglio, con rito ebraico, al Golders Green Crematorium, situato a nord di Londra.
Le ceneri della cantante britannica, insieme a quelle della nonna Cynthia, morta nel 2006 e adorata da Amy, sono state disperse allo Edgwarebury Jewish Cemetery, il cimitero ebraico situato a Edgware, nel quartiere di Barnet.

Come per altre morti, analoghe a questa, e altrettanto controverse e solitarie, come ad esempio, quella di Jimi Hendrix, forse, la certezza di una verità non l’avremo mai, perché anche nel caso di Amy Winehouse restano delle questioni in sospeso. Infatti, durante le indagini furono smarriti alcuni documenti riguardanti le cause del decesso: la polizia di Londra aveva inviato dei documenti a un indirizzo sbagliato.

L’8 gennaio 2013 fu dichiarato che la cantante, probabilmente, era deceduta a causa di un’intossicazione da alcol che le aveva arrestato la respirazione. Shirley Radcliffe, la dottoressa incaricata di indagare sul caso, disse che si era trattato di un atto volontario che aveva avuto una svolta inaspettata, e che la Winehouse non aveva intenzione di suicidarsi.

Sempre nel 2013, il 25 giugno, il fratello di Amy Winehouse, affermò che la cantante non era deceduta per la dose eccessiva di alcol, ma perché soffriva di bulimia fin dall’adolescenza e fu sottolineato che l’ipotesi di gennaio fosse appunto solo un’ipotesi.

Squarciare il velo dei dubbi non sembra possibile, e per il momento, possiamo solo sperare nel giudizio dei posteri.
In ogni caso, Amy Winehouse, morendo a 27 anni, è entrata di diritto nella cerchia di quegli artisti che sono stati vittime della “maledizione del 27“. Tutti gli artisti di questo funesto club sono accomunati da una morte precoce, accompagnata in vari casi da incertezze e misteri, ma soprattutto, sono uniti dalla consapevolezza che avrebbero potuto dare ancora molto al mondo che hanno prematuramente lasciato.

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