Luciano di Samosata è famoso per i suoi “Dialoghi”, raccolte singolari a tema, una di esse è dedicata ai morti.
Luciano di Samosata, come il nome stesso suggerisce, nacque a Samosata, capitale della Commagene (regione dell’Asia Minore, posta nella moderna Turchia sud-orientale) di Siria intorno al 120 ca. e secondo le fonti antiche, la sua morte si verificò verso la fine del principato di Marco Aurelio (121 – 180; imperatore, filosofo e scrittore romano), tra il 180 e il 192, ad Atene. I suoi ultimi scritti risalgono all’anno 180.
Luciano fu scrittore, retore e filosofo, famoso per la sua arguzia e per l’irriverenza dei suoi sferzanti scritti satirici, con i quali spesso ridicolizzava superstizione, pratiche religiose e fede nel paranormale.
Luciano riuscì a distinguersi nel panorama culturale del II secolo, grazie alla sua personalità brillante, al suo spirito esuberante e ai suoi numerosi interessi, che lo condussero a compiere molteplici ricerche.
Inoltre, nonostante le tante e differenti esperienze culturali, dai suoi scritti emergeva sempre il suo carattere polemico, nonché il suo stile mordace e arguto.
Nel periodo della maturità, Luciano scelse il dialogo come mezzo espressivo esclusivo e proprio in tale forma sono composte le sue opere più famose, cioè una quadrilogia, quattro raccolte di dialoghi, che include: i ventisei “Dialoghi degli dei”; i quindici “Dialoghi marini”; i quindici “Dialoghi delle cortigiane”; i trenta “Dialoghi dei morti”.
Nei primi due gruppi di dialoghi, lo scrittore raffigura scene in cui gli dei dell’Olimpo e del mare sono protagonisti e sono immortalati in episodi della vita quotidiana, in un’ottica tipica del periodo ellenistico e degli anni a seguire.
Il tono di questi scritti ha una chiara vena umoristica, dotata al contempo di freschezza e vitalità; lo stile è agile e il linguaggio è chiaro e acuto.
Nei quindici Dialoghi delle cortigiane Luciano smorza la vena satirica. Il mondo qui descritto è quello delle prostitute e cortigiane varie (pornai e hetairai). Lo scrittore narra in gran parte vicende amorose e incontri focosi e piccanti. Lo stile è semplice e diretto, e lo scrittore riserva spazio al riso e allo stupore, oltre che a spunti seri e di riflessione.
Nei Dialoghi dei morti, lo scrittore riprende la tradizione del viaggio nel mondo degli inferi che ha una lunga tradizione, tanto che lo stesso Luciano sceglie questa particolare scenografia anche per altre sue opere come: la “Storia vera”, il “Menippo”, la “Navigazione sotterranea” e il “Caronte”.
Questa quarta raccolta si compone di trenta scene a cui Luciano ha dato una veste teatrale. In questi scritti prevale una satira moraleggiante e l’autore si sofferma sui falsi miti legati all’esistenza umana: ricchezza, potere, fama e bellezza.
I Dialoghi dei morti rientrano nelle composizioni menippee e proprio Menippo di Gadara (310 a.C. – 255 a.C.; filosofo cinico e scrittore di satire greco antico dal cui nome derivano le satire menippee) è il personaggio di rilievo in questi scritti. Il filosofo cinico, nonostante sia passato a miglior vita, non ha comunque perso il suo spirito critico e dissacratore, con il quale colpisce senza pietà chiunque, del resto, i cinici mettevano in discussione ogni dogma filosofico o scientifico e ogni idea precostituita.
Già al suo arrivo, Menippo scatena un subbuglio, quando Caronte gli chiede di versargli l’obolo per attraversare il fiume Acheronte, perché il filosofo gli risponde di non possedere un bel niente. Dopo un acceso e divertente battibecco, sarà il mitico traghettatore dei morti a cedere.
Da questo dialogo ne scaturiscono altri in cui diversi abitanti dell’Ade si lamentano del comportamento di Menippo che li schernisce e li insulta, perché sono ancora attaccati ai ricordi piacevoli della loro vita precedente e rimpiangono quanto hanno perso, morendo.
Alle aspre critiche di Menippo non sfugge nessuno, la sua ironia amara colpisce Socrate, Eracle, Filippo, Alessandro e tanti altri, fino allo stesso dio dell’Ade, Plutone, come pure i belli e le belle dell’antichità.
Il caustico filosofo non risparmia né gli eroi dell’epica, né i sapienti e neppure alcuni dei o semidei, come Tantalo e Chirone.
L’ultimo a subire gli scherni del terribile Menippo è Tiresia, il famoso indovino, il filosofo senza peli sulla lingua lo apostrofa dicendo: “fai come tutti gli indovini: avete il vizio di parlare da invasati”.
È risaputo, lo dice anche un vecchio detto popolare, che una volta passati a miglior vita non si può portare nulla con sé, nessuno dei beni acquisiti durante l’esistenza terrena.
Questa realtà ha sempre costituito una sorta di rivalsa dei poveri contro i ricchi: la morte rende tutti uguali e chi muore deve lasciare tutte le proprie ricchezze dietro di sé. Eppure, nella letteratura compaiono molti scritti che parlano di un accesso alla morte in base alle “categorie” sociali, in quanto c’è chi, anche in questo inesorabile passaggio finale, tenta di trovare una distinzione di classe.
Nei Dialoghi dei morti ci sono due o più interlocutori: un dio e un mortale, ad esempio quando si fa riferimento al destino che è capitato all’uomo che viene punito nell’Inferno.
In altri casi, si prendono in esame situazioni che hanno consentito al mortale di incontrare la divinità.
La particolarità di questi dialoghi risiede nel fatto che Luciano ha tentato di mostrare i sentimenti e le convinzioni dei condannati.
Gli elementi tipici della scrittura di Luciano includevano: il contrasto dialettico di opinioni opposte; la tendenza a un’ironia sottile e acuta, lo stile chiaro e piacevole, animato da osservazioni spiritose e da un umorismo vivace che in molti casi deriva dalla parodia di situazioni o personaggi, oltre che dall’eccellente capacità di giovarsi del linguaggio a fini comici.
Luciano non fu particolarmente apprezzato dai suoi contemporanei, fu riscoperto in epoca bizantina da Fozio I di Costantinopoli (detto Fozio il Grande, 810 ca. – 897; bibliografo, erudito e patriarca bizantino; maestro di filosofia greca presso l’Università Imperiale di Costantinopoli) che ammirava il suo stile e il suo atteggiamento critico verso numerosi aspetti del mondo pagano.
Dal XV secolo, fu ammirato e tradotto anche in Italia. Le sue opere ispirarono poeti come Matteo Maria Boiardo (1441 – 1494), ma anche pittori come, Sandro Botticelli (1445 – 1510) e Andrea Mantegna (1431 – 1506).
Un ammiratore dell’opera di Luciano è stato Giacomo Leopardi (1798 – 1837). Il poeta nelle sue “Operette morali” si ispirò ai “Dialoghi”.
In copertina: Sandro Botticelli “La calunnia di Apelle” (c. 1494–95), Uffizi, Firenze. Il dipinto ripropone un’analoga opera, eseguita dal pittore della Grecia antica Apelle, descritta da Luciano di Samosata