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Cultura letteratura

Letteratura e morte: Verga, Pascoli e D’annunzio #7

Scrittori e poeti hanno affrontato il tema della morte, giungendo, letterariamente parlando, a conclusioni diverse, a volte simili e in altri casi, addirittura coincidenti.
Anche Verga, Pascoli e D’Annunzio hanno espresso la loro idea di morte, riecheggiando esperienze vissute e tendenze della propria epoca.

Scrittori e poeti hanno affrontato il tema della morte, giungendo, letterariamente parlando, a conclusioni diverse, a volte simili e in altri casi, addirittura coincidenti.
Anche Verga, Pascoli e D’Annunzio hanno espresso la loro idea di morte, riecheggiando esperienze vissute e tendenze della propria epoca.

Da ciò che trapela da “I Malavoglia” (1881), per Giovanni Verga (Catania, 2 settembre 1840 – Catania, 27 gennaio 1922) la morte rappresenta un evento drammatico che decreta il declino economico e a volte anche morale di un’intera famiglia, se ad essa viene a mancare il sostegno, prima di tutto quello economico, che ogni membro è in grado di conferire al nucleo familiare.

La morte è essa stessa quasi un evento economico all’interno della famiglia e di morti nel romanzo di Verga ce ne sono diverse e tutte gravi, anche se per motivazioni diverse, ma tutte riassumibili nella categoria economica.
C’è la morte in mare di Bastianazzo che priva il nucleo familiare dell’indispensabile forza lavoro del capofamiglia. Poi c’è quella in ospedale di Padron Ntoni, che conduce alla perdita della casa del nespolo, pignorata per debiti. Assistiamo anche a un’altra morte, quella di Luca che, partito per il servizio militare, muore nella battaglia di Lissa (1866) e sottrae così alla famiglia un altro componente.

Nel caso del “Mastro don Gesualdo” (1889), la morte ha un volto diverso: rappresenta la triste conclusione di una scalata sociale finita male. In questo caso, il protagonista di Verga muore in solitudine e la sua morte suggella il tentativo impossibile di entrare a far parte della casa nobiliare dei Trao.

Nella novella “Rosso Malpelo” (1878) ci sono altri esempi ancora di morti, dotate di sfumature diverse. Quella ineluttabile del protagonista, individuo già predestinato, come suo padre prima di lui, a morire in miniera, dopo aver condotto un’esistenza identica a quella del genitore, cioè all’insegna dello sfruttamento. Quella di Ranocchio che rappresenta la conferma letteraria della dura legge della selezione naturale che vede soccombere sempre i più deboli.

Passando da Verga alla poesia decadente, notiamo che il tema della morte si ammanta di ambiguità. Inoltre, malattia e corruzione producono sui decadenti una sorta di fascinazione, in quanto immagini della morte e la morte stessa è una vera ossessione per i letterati di questo periodo.

Possiamo notare tale metamorfosi del tema della morte ad esempio in Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile 1912) che restò indubbiamente segnato sia dalla morte del padre sia dai lutti famigliari, al punto da portare con sé il fardello di tali vicende luttuose per tutta la sua esistenza.
La morte nelle sue opere affiora nei misteriosi echi della natura che sembra celare voci e fantasmi dolorosi e finisce per caratterizzare molti dei simbolismi della sua poesia.

Approdando invece ai lidi dannunziani ci accorgiamo che nelle sue opere ad essere strettamente associato alla morte è l’amore, come del resto avviene secondo il principio freudiano di Eros e Thanatos.
In Gabriele D’Annunzio (Pescara, 12 marzo 1863 – Gardone Riviera, 1º marzo 1938), la vicenda amorosa si esaurisce in abbandoni estremi fino a scomparire, lasciando un vuoto sostanziale, che in certi casi, solo la morte è in grado di riempire, come si evince nel romanzo “Il trionfo della morte” (1894), dove assistiamo al duplice suicidio di Ippolita Sanzio e Giorgio Aiurispa.

Nella “Sera fiesolana” (1899), invece, prima lirica dell’Alcyone (terzo libro delle “Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi”), D’Annunzio ci mostra la morte della sera, come l’emblema del momento magico che preannuncia il mistero della notte e fa presagire il dispiegarsi di una bellezza maggiore della natura che nasconde le sue forme e le sue eterne verità.

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