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Curiosità sacro

Dolci dei morti: squisitezze tradizionali con una lunga storia

I dolci dei morti sono un’antica usanza, diffusa in tutta Europa, ma soprattutto in Italia, dove nei giorni tra il 1° e il 2 novembre si preparano e si consumano in onore dei defunti.

I dolci dei morti sono un’antica usanza, diffusa in tutta Europa, ma soprattutto in Italia, dove nei giorni tra il 1° e il 2 novembre si preparano e si consumano in onore dei defunti.

Solitamente, i dolci dei morti sono dei biscotti, preparati e poi consumati per celebrare i defunti, nei giorni vicini al 2 novembre, il “giorno dei morti”, una ricorrenza della Chiesa, che segue la festa di “Tutti i Santi”.
In alcune regioni, sono posti su tavole imbandite, allestite appositamente per i propri cari defunti.

Questi dolci, preparati quasi ovunque nella nostra penisola, hanno di solito la forma e la consistenza di un osso, ma ne esistono anche molte diverse varietà che differiscono per foggia e per gli ingredienti di cui sono fatti.

Alcuni fanno riferimento alle dita della mano; altri hanno vaghe forme umane; altri ancora, hanno le sembianze di un cavallo.
Nell’impasto di questi singolari dolci, le mandorle sono quasi sempre presenti, a esse, si aggiungono, per la maggior parte delle ricette: farina, uova, zucchero ed aromatizzanti. Alle ricette più elaborate prendono parte anche: cioccolato, marmellata e frutta candita.

Attraversando l’Italia, scopriamo le diverse e fantasiose declinazioni di questi dolci dedicati ai defunti.
“Fave da morto”, “fave dei morti” o “fave dolci” sono tipici delle regioni: Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Marche ed Umbria. Si tratta di pasticcini alla mandorla, di forma ovoidale, schiacciata; assomigliano agli amaretti, ma hanno una pasta più consistente.
Le “Favette dei Morti”, invece, sono reperibili un po’ in tutto il Nord-est, specie, in Veneto, a Trieste e in Friuli. Sono tricolori: panna, marrone e rosa, contengono mandorle e la loro consistenza va dal croccante al morbido.

Le “Ossa di morto” o “ossa da mordere” sono biscotti dall’impasto duro, contenente mandorle e albume d’uovo, sono reperibili nelle Marche, in Piemonte e in Lombardia.
Gli “Ossi dei morti” che si possono mangiare a Parma sono, invece, fatti di pastafrolla e ricoperti da una golosa glassa di zucchero o cioccolato.
Le “Ossa di morto”, in Veneto, hanno forma oblunga, mentre in Sicilia sono di colore bianco e marrone chiaro, hanno una consistenza molto secca; nell’impasto, contengono zucchero, albume e farina, con l’aggiunta di acqua di chiodi di garofano, inoltre, sono ricoperti di cioccolato.
Nella zona del senese si possono gustare delle “Ossa di morto” friabili, di forma rotonda, che nell’impasto contengono mandorle tritate.

Oltre ai dolci dedicati ai defunti, esistono anche una grande varietà di pani, dalle forme più disparate.
I “cavalli”, di grandi dimensioni, tipici del Trentino-Alto Adige; le mani”, siciliane che hanno forma circolare e simulano due mani che si uniscono; il “Pan dei morti”, di origine lombarda, ossia dei piccoli panini dolci, fatti di biscotti sbriciolati e contenenti frutta secca.

Se ancora non siete soddisfatti, ci sono anche molte varietà di marzapane.
Le “Dita di apostolo” che hanno la forma di una mano, sono fatti di pasta all’uovo e contengono una farcitura di crema di ricotta e panna; la “Frutta di Martorana”, riproduzioni di frutta, il cui impasto e fatto di farina di mandorle e zucchero.

A Napoli troviamo addirittura il “Torrone dei morti”, torroni morbidi, venduti a pezzi, di vari gusti e a base di cacao.
Gli amanti dello zucchero, invece, dovranno fare una doverosa tappa a Lecce, per assaggiare le Fanfullicchie, riccioli di zucchero caramellato, aromatizzati alla menta, che una volta erano venduti al cimitero, durante la festa di Ognissanti e per la festa dei defunti.
In Puglia, troviamo invece “La colva”, un dolce fatto con grano cotto, uva sultanina, noci e mandorle tritate, fichi secchi a pezzetti, scaglie di cioccolato fondente, chicchi di melagrana, zucchero e vincotto. In questa ricetta, la presenza dei semi, come ingredienti, fa riferimento sia alla rinascita sia al ciclo continuo di vita e morte.

I nomi di alcuni di questi particolari dolci hanno un significato preciso.
Prendiamo in esame il dolce tipico delle Marche e di altre regioni del centro Italia, cioè, le fave dei morti.
Questi dolci si chiamano così, perché nell’antichità, nell’area del Mediterraneo, le fave erano il legume collegato all’aldilà e a coloro che lo abitavano.
Nella Roma antica, le fave simboleggiavano le anime dei morti e questo particolare legume era dato in dono agli dei dell’Ade.

Sempre riguardo alle fave, esistevano anche vari rituali e particolari abitudini scaramantiche, come la masticazione di fave secche oppure la loro cottura o ancora, il presentarle come offerte sulla tomba del defunto.

Il collegamento tra i morti e le fave sembra risalire al fatto che questa pianta ha radici molto lunghe e per questo si credeva facessero da tramite tra il mondo in superficie e il mondo sotterraneo. Lo stesso si pensava di altri legumi, come ceci e fagioli.

La tradizione contadina e il cristianesimo hanno mantenuto vivo il legame tra le fave e i morti e, in tempi più recenti, intorno al 2 novembre, c’era ancora chi lasciava ciotole di fave e altri legumi agli angoli delle strade o sui davanzali delle case. Ora, i legumi sono stati sostituiti dai dolci.

La ricetta delle fave dei morti varia, passando da una regione all’altra; per non fare torto a nessuno, citiamo l’Artusi (1820 – 1911, scrittore, gastronomo e critico letterario italiano, autore di un famoso libro di ricette “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”) che di cucina se ne intendeva.
Se volete cimentarvi nella ricetta delle Fave alla romana, vi consiglio di seguire i suoi preziosi consigli.

Queste pastine sogliono farsi per la commemorazione dei morti e tengono luogo della fava baggiana, ossia d’orto, che si usa in questa occasione cotta nell’acqua coll’osso di prosciutto. Tale usanza deve avere la sua radice nell’antichità più remota poiché la fava si offeriva alle Parche, a Plutone e a Proserpina ed era celebre per le cerimonie superstiziose nelle quali si usava. Gli antichi Egizi si astenevano dal mangiarne, non la seminavano, né la toccavano colle mani, e i loro sacerdoti non osavano fissar lo sguardo sopra questo legume stimandolo cosa immonda. Le fave, e soprattutto quelle nere, erano considerate come una funebre offerta, poiché credevasi che in esse si rinchiudessero le anime dei morti, e che fossero somiglianti alle porte dell’inferno. […] Varie sono le maniere di fare le fave dolci; v’indicherò le seguenti: le due prime ricette sono da famiglia, la terza è più fine. PRIMA RICETTA Farina, grammi 200. Zucchero, grammi 100. Mandorle dolci, grammi 100. Burro, grammi 30. Uova, n. 1. Odore di scorza di limone, oppure di cannella, o d’acqua di fior d’arancio. SECONDA RICETTA Mandorle dolci, grammi 200. Farina, grammi 100. Zucchero, grammi 100. Burro, grammi 30. Uova, n. 1. Odore, come sopra. TERZA RICETTA Mandorle dolci, grammi 200. Zucchero a velo, grammi 200. Chiare d’uovo, n. 2. Odore di scorza di limone o d’altro. Per le due prime sbucciate le mandorle e pestatele collo zucchero alla grossezza di mezzo chicco di riso. Mettetele in mezzo alla farina insieme cogli altri ingredienti e formatene una pasta alquanto morbida con quel tanto di rosolio o d’acquavite che occorre. Poi riducetela a piccole pastine, in forma di una grossa fava, che risulteranno in numero di 60 o 70 per ogni ricetta. Disponetele in una teglia di rame unta prima col lardo o col burro e spolverizzata di farina; doratele coll’uovo. Cuocetele al forno o al forno da campagna, osservando che, essendo piccole, cuociono presto. Per la terza seccate le mandorle al sole o al fuoco e pestatele fini nel mortaio con le chiare d’uovo versate a poco per volta. Aggiungete per ultimo lo zucchero e mescolando con una mano impastatele. Dopo versate la pasta sulla spianatoia sopra a un velo sottilissimo di farina per poggiarla a guisa di un bastone rotondo, che dividerete in 40 parti o più per dar loro la forma di fave che cuocerete come le antecedenti” (“Fave alla romana o dei morti, Ricetta n. 622, tratta da: “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi)

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