Il romanzo della Christie, “Dieci piccoli indiani”, è un capolavoro indiscusso della letteratura gialla. La scrittrice tesse una sottile e mortale ragnatela attorno ai suoi personaggi, ricamando sui versi di una curiosa filastrocca infantile.
Agatha Mary Clarissa Christie (Torquay, 15 settembre 1890 – Winterbrook, 12 gennaio 1976) è stata una delle più celebri scrittrici del XX secolo. Ricordata soprattutto per i suoi gialli, in realtà, la famosa creatrice di Poirot e Miss Marple ha scritto anche alcuni romanzi rosa e diverse opere per il teatro, come lo stesso “Dieci piccoli indiani”, che tuttora, sono rappresentate con grande successo.
Una tra le tante opere della Christie che ha riscosso un grande successo editoriale – è il giallo più venduto in assoluto (110 milioni di copie) – ed è tuttora, in rifacimenti sempre nuovi, presente nelle locandine dei teatri, è: “Dieci piccoli indiani”.
Il titolo originale era “Ten Little Niggers”. Questo romanzo giallo, lo ha confessato la stessa Christie, è stato uno dei suoi libri più difficili da scrivere.
“Dieci piccoli indiani” uscì, inizialmente, sul giornale inglese Daily Express suddiviso in 23 puntate (da martedì 6 giugno 1939 a sabato 1° luglio 1939).
Il romanzo integrale fu stampato nel tardo 1939, in Gran Bretagna, mentre negli Stati Uniti comparve all’inizio del 1940. In Italia, bisogna attendere l’agosto del 1946, quando Mondadori lo pubblicò, con il titolo: “… e poi non rimase nessuno”.
Il libro ha visto negli anni e nelle edizioni subire diversi cambiamenti di titolo.
In origine, fu pubblicato con il titolo di “Ten Little Niggers” (Dieci piccoli negri o Dieci negretti), riportando il primo verso della filastrocca che compare a più riprese nelle pagine del libro. Si tratta di una canzone statunitense, scritta nel 1868, da Septimus Winner. Anche la versione cantata della filastrocca era: “Ten Little Niggers”, ma fu mutata in “Ten Little Indians”. Per evitare di offendere i cittadini neri anche il titolo del libro fu cambiato, quando fu pubblicato negli USA; in un primo tempo, si optò per l’ultimo verso della filastrocca: “And Then There Were None”.
La Christie con questo romanzo si cimenta con una macro camera chiusa: gli eventi si svolgono a Nigger Island. Il luogo è ispirato alla scrittrice da un’isola tidale (dall’inglese tide, “marea”; in pratica isole di questo tipo sono collegate al continente o a un’altra isola più grande da una banda sabbiosa che, durante l’alta marea, è sommersa dalle acque) posta di fronte al Devon.
La storia prende il via grazie a un invito fatto a otto persone: Anthony Marston, John Macarthur, Emily Brent, Lawrence Wargrave, William Blore, Edward Armstrong, Philip Lombard e Vera Claythorne, che, a vario titolo sono state invitate a Nigger Island. L’isola deve il suo nome alla sua insolita forma: una testa di un nero.
L’anfitrione, che è riuscito a convincere otto persone (dieci più i due domestici) a partecipare a una singolare riunione, è il misterioso signor Owen che possiede l’unica abitazione dell’isola.
Gli ospiti non si conoscono, almeno non personalmente, tra loro e quando giungono a destinazione, non trovano ad accoglierli né il signor Owen né sua moglie. Nella casa, invece, sono presenti due domestici: i coniugi, Thomas ed Ethel Rogers, che, a loro volta, non hanno mai incontrato i proprietari della villa.
Primo segno curioso, venato di profetica inquietudine è la filastrocca, appesa al muro di ogni stanza degli ospiti. In poche parole, l’innocente – in parvenza – poesia per bambini, contiene strambe e macabre rime che narrano la triste sorte di dieci negretti: uno alla volta e in modi del tutto diversi, i poveretti fanno una brutta fine.
Il secondo segno poco rassicurante è il centrotavola della sala da pranzo: dieci statuine che corrispondono ai dieci sfortunati negretti della filastrocca.
Non bisogna essere numerologi o esperti di simbologia, per intuire che qualcosa di sottilmente sinistro avvolge l’isola, includendo le motivazioni del curioso invito.
Uno degli ospiti, il dottor Armstrong, al suo arrivo sull’isola, pronuncia un’inconscia premonizione: “C’era qualcosa di magico in un’isola: bastava quella parola a eccitare la fantasia. Si perdeva contatto col resto del mondo, perché un’isola era un piccolo mondo a sé. Un mondo, forse, dal quale non si poteva tornare indietro” (Agatha Christie, “Dieci piccoli indiani”, Oscar classici moderni Vol. 2, Mondadori).
Ma, in generale, gli ospiti che si ritrovano la sera in sala da pranzo sono rilassati, avvolti ancora nel manto della sorpresa e cenano, conversando amabilmente tra loro. Complici, forse, il cibo ottimo e i vini squisiti, tra gli invitati regna il buonumore e le chiacchiere sono disinvolte e confidenziali.
È dopo cena che l’atmosfera idilliaca si incrina bruscamente: una voce inumana che proviene da un grammofono annuncia le colpe di ognuno dei presenti, compresi i due domestici.
Tutti sono accusati di aver ucciso qualcuno e la voce dichiara, a conferma delle sue condanne, date e nomi delle vittime.
Si rompono le righe, la quiete prima della tempesta è finita. Crisi e smarrimento si fanno strada tra i presenti e ognuno tenta di discolparsi dalle accuse mosse dalla voce. Poi, mentre tentano di comprendere perché siano stati invitati in quel luogo e in quella casa, Anthony Marston, bevuto un bicchiere di whisky, muore. Il dottor Armstrong, esaminato il corpo, deduce che nel bicchiere di Marston ci fosse del cianuro.
Il pensiero di tutti corre alla prima è più semplice soluzione del problema: uno strano suicidio, ma, il giorno successivo, il punto di vista cambia: la signora Rogers è rinvenuta morta nel suo letto. L’ipotesi del suicidio non regge più e gli ospiti iniziano a riflettere sul testo della filastrocca e sul fatto che, dal centrotavola sono scomparse due statuine.
Il primo impulso, ora, è quello di allontanarsi dall’isola e tornare sulla terraferma, ma non è possibile: non ci sono barche con cui andare via e il barcaiolo che ha accompagnato gli invitati a Nigger Island non compare quel mattino e non tornerà mai più…
Leggete la strofetta e, se non avete ancora letto il libro, immaginate ciò che accadrà. Ma chi sarà il misterioso assassino?
Ricordate che siete su un’isola e non dimenticate quanto sia scaltra Agatha Christie.
Dieci poveri negretti
se ne andarono a mangiar:
uno fece indigestione,
solo nove ne restar.
Nove poveri negretti
fino a notte alta vegliar:
uno cadde addormentato,
otto soli ne restar.
Otto poveri negretti
se ne vanno a passeggiar:
uno, ahimè, è rimasto indietro,
solo sette ne restar.
Sette poveri negretti
legna andarono a spaccar:
un di lor s’infranse a mezzo,
e sei soli ne restar.
I sei poveri negretti
giocan con un alvear:
da una vespa uno fu punto,
solo cinque ne restar.
Cinque poveri negretti
un giudizio han da sbrigar:
un lo ferma il tribunale,
quattro soli ne restar.
Quattro poveri negretti
salpan verso l’alto mar:
uno un granchio se lo prende,
e tre soli ne restar.
I tre poveri negretti
allo zoo vollero andar:
uno l’orso ne abbrancò,
e due soli ne restar.
I due poveri negretti
stanno al sole per un po’:
un si fuse come cera
e uno solo ne restò.
Solo, il povero negretto
in un bosco se ne andò:
ad un pino si impiccò,
e nessuno ne restò.
“Dieci piccoli indiani” è, come già detto in precedenza, un giallo costruito sullo schema dell’enigma della camera chiusa doppia:
- gli omicidi avvengono in un ambito circoscritto;
- l’assassino è, ovviamente, uno del gruppo;
- il colpo di scena fondamentale in questa storia è che non sopravvive nessuno.
Stranamente, abituati come siamo a trovarci di fronte a un abile detective, quando si parla di gialli della Christie – solitamente, Poirot o Miss Marple – in “Dieci piccoli indiani” non troviamo questa figura e ciò costituisce un punto di forza del romanzo, perché consente di far emergere con più forza il tema principale: il rapporto tra bene e male, e l’inesorabilità della giustizia che punisce i colpevoli.