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La peste: terribile malattia e argomento letterario favorito

La peste è una tra le malattie infettive che ha lasciato più segni non solo nell’ambito sociale e sanitario, ma anche nell’arte e nella letteratura. Esistono diversi resoconti di epidemie di peste e trattati che parlano distesamente di questo morbo letale, alcuni sono molto famosi, come quello contenuto ne “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni.

La peste è una tra le malattie infettive che ha lasciato più segni non solo nell’ambito sociale e sanitario, ma anche nell’arte e nella letteratura. Esistono diversi resoconti di epidemie di peste e trattati che parlano distesamente di questo morbo letale, alcuni sono molto famosi, come quello contenuto ne “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni.

La peste è una malattia infettiva di origine batterica. È causata dal bacillo Yersinia pestis; in pratica, è una zoonosi e il suo principale vettore è la pulce dei ratti (Xenopsylla cheopis).
Il suo nome deriva dal latino “pestis”, cioè distruzione, grande malattia.
La prima epidemia certa di peste fu quella di Giustiniano, che scoppiò a Costantinopoli verso la metà del secolo VI d.C., per poi diffondersi in tutta Europa.

La peste ha segnato profondamente la storia umana, specie quella europea.
L’episodio pandemico iniziato a Costantinopoli, indebolì l’impero bizantino, mentre l’ondata pandemica di “peste nera”, che raggiunse l’Europa all’inizio dell’epoca moderna (metà del XIV secolo), fu un evento di svolta, in particolare, per gli effetti che produsse sulla riorganizzazione economica e demografica della società di quel periodo.

La peste di Giustiniano esplose nel 541 d.C. ed è la prima pandemia di peste documentata. A narrare nei dettagli la diffusione del morbo fu lo storico Procopio di Cesarea, il quale tratta anche le tipologie di sintomi e il decorso della malattia.
Si pensa che questa epidemia abbia causato la morte di circa il 40% della popolazione di Costantinopoli, prima di diffondersi a ondate e in modo localizzato, in tutta l’area mediterranea, fino al 750 ca. e il calcolo delle vittime salì spaventosamente: tra i 50 e i 100 milioni.

In ogni caso, la pandemia di peste più famosa e distruttiva fu quella che si diffuse alla metà del XIV secolo (nota come peste nera).
La provenienza dell’infezione fu il nord della Cina e poi il morbo si diffuse in varie fasi alla Turchia asiatica ed europea, fino ad arrivare in Grecia, in Egitto e nella penisola balcanica. Nel 1347 raggiunse la Sicilia e poi Genova; nel 1348 infettò la Svizzera e tutta la penisola italica, tranne Milano.
Fu proprio questa epidemia di peste, particolarmente violenta a Firenze, a ispirare a Giovanni Boccaccio (1313-1375) la cornice del suo “Decameron”.
Dalla Svizzera, la peste dilagò in Francia e in Spagna; nel 1349 giunse in Inghilterra, Scozia e Irlanda. I resoconti sulla mortalità di questa ondata, attestano che a morire fu un terzo della popolazione europea.

La peste continuò a tornare a ondate in molte città europee fino al 1720 ca., nonostante gli stati adottassero dei sistemi per prevenirla e si organizzassero per curare i malati, in modo da evitare ulteriori contagi.
Notevoli epidemie sono documentate nel territorio milanese tra il 1576 e il 1577.
L’ondata che interessò l’Italia settentrionale, nel 1630, fu raccontata anche da Alessandro Manzoni nel suo romanzo “I promessi sposi”.

Abbiamo già rilevato che la peste ha investito l’immaginazione di artisti e letterati e forse, ha suscitato così tanto interesse, a causa della sua virulenza e per il notevole numero di vittime che provocava nei suoi ricorrenti passaggi.
Oltre a “I promessi sposi”, esistono altri esempi illustri che fanno riferimento alla peste e alle terribili epidemie da essa scatenate: “Libro dei Maccabei” (la peste inviata da Dio contro i Filistei); “Iliade” (la peste fu una punizione divina, mandata da Apollo, nel campo dei Greci); “De rerum natura” di Lucrezio che narra della peste di Atene; “Georgiche” di Virgilio; “Decameron” di Giovanni Boccaccio; “La peste” di Albert Camus; “La maschera della morte rossa” di Edgar Allan Poe.

Spostandoci nell’ambito dell’arte e della pittura, troviamo ancora altri riferimenti: le rappresentazioni della “danza macabra“, tema che ricorre spesso nei primi decenni del XV secolo ed è stato rapportato alla peste del Trecento. Anche la musica ha trattato lo stesso argomento: un esempio sono le musiche di “Totentanz”, di Franz Liszt.

L’esempio letterario relativo alla peste, contenuto ne “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni (Milano, 7 marzo 1785 – Milano, 22 maggio 1873), è uno tra i più noti, se non altro perché appartiene alle letture previste nei programmi scolastici. La peste dovette influenzare l’immaginazione dello scrittore, così come quella di molti altri, per la sua caratteristica negativa di ripresentarsi puntualmente nei secoli, mietendo molte vittime. L’ ”incursione” del morbo, descritta da Manzoni nel suo romanzo, è quella che si è verificata in Italia settentrionale, nel 1630.

Le fonti alle quali attinse Manzoni per descrivere gli effetti del morbo della peste sono diverse: il “De Pestilentia” di Federigo Borromeo (1564-1631), da qui, lo scrittore trasse ispirazione per l’ambientazione di Milano durante la pandemia e soprattutto, ne derivò l’episodio della madre di Cecilia. Mentre, per il capitolo XXXI, Manzoni fece riferimento a: “Ragguaglio dell’origine et giornali successi della gran peste” di Alessandro Tadino (1580-1661).

La peste compare nel romanzo manzoniano, nei capitoli dal XXXI al XXXVI, ma in particolare, il XXXI e il XXXII sono interamente dedicati ad essa.
L’inizio della pandemia è segnato dall’arrivo dei Lanzichenecchi in Lombardia e da qui la malattia si diffonde a Milano.
All’inizio, la peste fu sottovalutata dalle autorità; unico a prodigarsi nei confronti dei malati fu il cardinale Federigo Borromeo, mentre la città era abbandonata a sé stessa.

Manzoni, nelle pagine in cui ha narrato della peste e dei suoi effetti, riesce a costruire delle descrizioni molto potenti, come i carri dei monatti, ma anche commoventi, come l’episodio dedicato alla madre di Cecilia. In questa scena, una bambina morta è posta da sua madre sul carro dei monatti, con la preghiera di non toccare il corpo della piccola che lei ha composto con amore. Inoltre, la donna chiede loro di tornare più tardi per “prendere anche me e non me sola”. Questa madre affranta è raffigurata come piena di dignità umana e amore materno, tanto da impietosire anche il “turpe monatto” che voleva prenderle con la forza la bambina.

La peste ne “I promessi sposi” è lo strumento di morte che attraversa tutto il romanzo. I personaggi si dispongono nei confronti di questo spaventoso morbo in modo differente: per Don Abbondio, è come una “scopa” che ripulisce la terra; per Padre Cristoforo, a volte, rappresenta un “castigo”, in altri casi, una “misericordia”.

Nel romanzo si ammalano di peste vari personaggi. Alcuni di loro, come Renzo e Don Abbondio, guariranno, altri soccomberanno, come don Rodrigo che morirà tragicamente; il Griso, in modo squallido; Fra Cristoforo, santamente; don Ferrante, incredulo e attonito.

Manzoni parla a lungo della peste nel romanzo e per questo fu ingiustamente criticato, perché la malattia e quello che essa aveva comportato non è una digressione, bensì è una parte fondamentale sia della storia milanese del XVII secolo sia del dramma vissuto dai protagonisti.

Tracce della terribile epidemia si possono rinvenire tuttora, nella città di Milano, anche se sono davvero poche: del grande lazzaretto che risale alla fine del Quattrocento resta solo una piccola parte su via San Gregorio, nei pressi della chiesa di San Carlo al Lazzaretto, che era collocata al centro dell’ospedale.
Rimangono anche alcuni nomi di strade, a ricordare i protagonisti della cupa vicenda: Lodovico Settala (1550-1633), medico, traduttore e accademico italiano, che riconobbe e denunciò il contagio e si diede molto da fare per contrastarlo; Alessandro Tadino, collaboratore di Settala; il monaco Felice Casati (1581-1656), al quale fu affidato il compito di gestire il lazzaretto nella fase peggiore dell’epidemia.

In copertina: rappresentazione della peste bubbonica che colpì Tournai nelle cronache di Gilles Li Muisis (1272-1352), abate del monastero di San Martino dei giusti, conservata nella Biblioteca reale del Belgio

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