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Il fantasma più antico raffigurato in una tavoletta babilonese del 1500 a.C.

Una tavoletta babilonese di 3.500 anni contiene la raffigurazione più antica di un fantasma finora scoperta.

Una tavoletta babilonese di 3.500 anni contiene la raffigurazione più antica di un fantasma finora scoperta.

Il singolare reperto archeologico, ritrovato nei sotterranei del British Museum di Londra, risale al 1500 a. C. La scoperta si deve a Irving Finkel, uno dei più importanti assirologi del mondo, esperto di scrittura cuneiforme su tavole d’argilla e curatore del dipartimento sull’arte del Medio Oriente del British Museum. Curiosamente, la figura del fantasma rappresentato sulla tavoletta è stato scoperto proprio vicino ad Halloween.

Vi chiederete come mai una tale sorprendente rivelazione sia stata fatta solo ora.
Ebbene, la risposta è semplice: il fantasma è visibile solo dall’alto e se è posto sotto una luce diretta.
La scena incisa sull’antica tavoletta raffigura due soggetti: un fantasma barbuto, alto e magro, raffigurato nell’atto di camminare, con le braccia tese e con i polsi legati da una corda, e una donna, la sua amante che lo guida verso le beatitudini dell’oltretomba.
Un’altra interpretazione inverte le parti: il fantasma è la donna che trascina con sé un uomo che le è stato donato, affinché torni nel regno dei morti
Sul retro della tavoletta è descritto il rituale che avrebbe consentito al fantasma di raggiungere l’aldilà.

Solitamente, il fantasma infestatore di cui ci si voleva liberare era quello di un familiare che stava diventando un po’ troppo molesto.
Comunque, non tutti i defunti, diventavano fantasmi; accadeva solo a coloro che erano periti di morte violenta o in un qualche incidente o ancora, a quelli la cui la salma non era stata ritrovata o era stata inumata in fretta e senza i dovuti crismi. Solo in questi casi, il defunto diventava un’anima in pena.

L’anima sofferente, continuava a vagare, senza riuscire a passare nell’aldilà. I vivi tolleravano tali presenze nell’ambiente domestico, solitamente senza particolari paure, e con una comprensione che prevedeva anche l’offerta simbolica di cibo o bevande.

C’erano dei casi, però, in cui lo spettro era qualcuno che durante la sua esistenza era stato prepotente e malvagio. Questo genere di presenze poteva compiere atti di una certa perfidia, tanto da indurre i vivi alla pazzia oppure potevano essere presenze particolarmente fastidiose.
Ad esempio, c’erano fantasmi che non riuscivano a sopportare la solitudine e avevano bisogno di una donna anche dopo essere passati a miglior vita. Questi “molestatori” non erano tollerati e per liberarsi di loro si chiamava un esorcista.

Secondo Finkel la tavoletta babilonese, ritrovata dentro il British Museum, apparteneva quasi sicuramente a un esorcista e conteneva le istruzioni per liberarsi di un fantasma molestatore.
Seguendo tali istruzioni, il primo passo da compiere, per convincere uno spirito a trasferirsi nel regno dei morti, era realizzare due figure: maschile e femminile, le quali dovevano essere corredate da alcuni oggetti.
L’uomo doveva indossare panni quotidiani e avere con sé provviste per il viaggio; la donna doveva essere avvolta in quattro vesti rosse e in un panno color porpora. Inoltre, il corredo di lei prevedeva diversi oggetti: una spilla d’oro; un letto; una stuoia; un pettine; un asciugamano; una fiaschetta.

Dopo aver preparato le due statuette, all’alba, si doveva scavare una buca e seppellire ogni cosa. Nel frattempo, il negromante doveva recitare un incantesimo, purtroppo, quello della tavoletta è incompleto, perché il reperto non è integro; si legge solo un’invocazione a Shamash, dio del sole, nonché responsabile del passaggio dei fantasmi nell’oltretomba.

Finkel, ritenuto un’autorità mondiale per l’alfabeto cuneiforme, ha riscontrato che, in precedenza, le iscrizioni non erano state decifrate correttamente. Inoltre, la figura del fantasma della tavoletta babilonese era andata persa,.

La tavoletta, non è mai stata esposta prima d’ora e rappresenta una scoperta davvero incredibile, soprattutto, perché mette in luce il fatto che i timori e le debolezze tipiche degli uomini di oggi non sono poi così dissimili da quelle degli uomini di 3.500 anni fa.

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