Il Requiem in do minore per coro misto e orchestra è un’opera del compositore italiano Luigi Maria Cherubini. Fu composto a Parigi, nel 1816; la prima esecuzione ebbe luogo nella basilica di Saint-Denis, il 21 gennaio 1817, per il ventiquattresimo anniversario della morte per decapitazione di Luigi XVI.
All’epoca della stesura del “Requiem”, Cherubini (Firenze, 14 settembre 1760 – Parigi, 15 marzo 1842) era stato da poco nominato “Surintendant de la musique” (Sovrintendente alla musica) presso la cappella musicale reale da Luigi XVIII (1755 – 1824; re di Francia dal 1814 al 1824).
La nomina era scattata subito dopo la restaurazione della monarchia e l’istituzione di una nuova politica di riconciliazione con la Chiesa.
Nel 1815, nel pieno del clima post rivoluzionario, Luigi XVIII chiese a Cherubini di realizzare una messa da requiem, da eseguire in onore del fratello Luigi XVI (1754 – 1793; re di Francia dal 1774 al 1792).
Il 21 gennaio, data scelta per la prima esecuzione del Requiem, era già da vent’anni anche festa nazionale, segnava l’avvento della repubblica, ma con il ritorno della monarchia divenne un triste ricordo, commemorato non come festa nazionale, ma come giornata della memoria.
Il Requiem di Cherubini fu eseguito tre anni dopo, sempre a Saint-Denis per un altro triste evento: l’omicidio, avvenuto il 13 febbraio 1820, di Carlo di Borbone (1778 – 1820), Duca di Berry ed erede al trono. In questa seconda occasione furono aggiunti una Marcia funebre e un mottetto (“In Paradisum deducant te angeli”).
Prima del Requiem di Cherubini, per più di cinquanta anni in Francia, la messa da requiem più eseguita e ritenuta in qualche modo una sorta di versione ufficiale era la “Grande messe des morts” di François-Joseph Gossec (1734 – 1829; compositore e violinista francese). Lo stile di questa messa era alto, accademico e, in alcune parti, quasi marziale.
La composizione di Cherubini si distacca nettamente dal modello di Gossec, innanzitutto, perché non prevede l’alternanza di momenti corali e solistici (non è neppure presente il quartetto vocale a solo) e la tecnica coristica è priva di qualsiasi accenno di stampo virtuosistico, a parte la fuga a quattro voci inclusa nell’Offertorio.
Questo tipo di scelte compositive dipende in particolare dalla formazione del musicista che aveva studiato la tecnica palestriniana (da Giovanni Pierluigi da Palestrina, 1525 – 1594; compositore e organista italiano, tra i più importanti del Rinascimento europeo), da Padre Martini (Giovanni Battista Martini, 1706 – 1784; francescano, compositore, teorico della musica ed erudito italiano), durante il suo periodo di apprendistato.
Per quanto riguarda la parte orchestrale, siamo di fronte a un’incredibile modernità, caratterizzata da tratti di grande dolcezza e al contempo, da parti di vigorosa sonorità. Il Requiem conserva però anche connessioni con la precedente storia della musica, ad esempio, nei colori cupi dell’Introito, caratterizzati dal suono di viole, violoncelli, contrabbassi e fagotti, con l’esclusione dei violini.
La lezione di Cherubini ispirerà numerosi musicisti, in particolare, il compositore francese Hector Berlioz (1803 – 1869).
Suddivisione del Requiem
Introitus – Larghetto sostenuto
Graduale – Andantino largo
Dies Irae – Allegro maestoso
Offertorium – Andante
Sanctus – Andante
Pie Jesu – Larghetto
Agnus Dei – Sostenuto
L’organico previsto da Cherubini comprendeva: un coro misto, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, tam-tam, archi.
Il Requiem di Cherubini fu lodato da molti compositori, tra cui, Beethoven, Brahms e Schumann; inoltre, molti dei suoi contemporanei rimasero colpiti dalla sua partitura. Essa rappresentò un modello per i compositori che ne ammirarono la scrittura elegante, l’insita mestizia e soprattutto, la mancanza di un tono celebrativo.
Cherubini ha utilizzato un tono solenne e distaccato, evitando toni patetici e malinconici. La sua composizione sembra destinata all’umanità intera e rifugge da qualsiasi atteggiamento di carattere intimo, del tutto estraneo alle idee del musicista.
Il compositore non ha previsto neppure le voci soliste che nella sua logica avrebbero spezzato l’effetto “collettività in preghiera”, accentrando l’attenzione sui singoli elementi, mentre le intenzioni di Cherubini erano proprio quelle di evitare la dimensione soggettiva per propugnare un “tutto”.
Nella musica del Requiem, Cherubini esprime un rigore morale e una fermezza che riflettono la sua idea del mondo e dell’arte.
Analizzando le varie parti del Requiem, notiamo, innanzitutto, che nell’Introitus et Kyrie, Cherubini rinuncia ai violini e la parte cantabile è traslata all’orchestra, mentre il coro assume quasi il ruolo di accompagnamento. Questi accorgimenti danno a questa sezione un colore cupo che emerge in apertura e si estende a gran parte dell’opera.
Il linguaggio utilizzato è piuttosto scarno; le armonie sono “povere” e l’attenzione degli ascoltatori si focalizza sulle parole che sono pronunciate distintamente e poi sono ripetute, chiare ed evidenti, mai occultate da giochi contrappuntistici.
La sezione successiva, il Graduale, è un prolungamento dell’Introitus, anche se armonicamente si distingue da ciò che lo precede. Costituisce anche una sorta di preparazione studiata, affinché il successivo Dies Irae abbia un maggiore risalto. Infatti, nel Graduale, Cherubini sceglie di ridurre ancor più le forze, con un effetto di chiaro assottigliamento.
Il Dies Irae si annuncia con gli squilli degli ottoni e un colpo di tam-tam. Si tratta di un inizio di chiara provenienza teatrale che fa rammentare le esplosioni di temporali nel melodramma ottocentesco. Ciò è ribadito anche dal particolare uso degli archi, cui sono affidate veloci note ribattute in pianissimo.
Il ritmo qui incalza e l’effetto è accresciuto da un espediente adottato per il coro: tutti cantano la stessa melodia, ma l’attacco degli uomini è spostato di una battuta dopo quella delle donne. All’ascolto sembra di assistere a una sorta di inseguimento che produce una certa tensione. Lo stesso accorgimento è applicato al Tuba mirum e si esaurisce nel Salva me. Successivamente, sarà riaffermato, ancora più tumultuoso, nel Confutatis maledictis.
Tutte le parti della sequenza seguono con grande attenzione il testo, a partire dalla solenne fanfara del Tuba mirum sino alla preghiera del toccante Salva me. Il Confutatis si avvale del contrappunto, mentre il Lacrymosa si affida alla pacata armonia del canto, sostenuta dall’orchestra quasi immobile.
Nell’Offertorium, Cherubini riprende lo schema dell’Introitus: l’orchestra torna al cantabile, mentre il coro mette in evidenza le parole, adottando un solenne andamento omoritmico.
Al versetto “Quam olim Abrahae promisisti, et semini ejus”, il compositore, seguendo la tradizione, inserisce un’altisonante fuga, prova della sua abilità come contrappuntista. Nonostante l’uso del contrappunto nella musica, Cherubini non ha accantonato il testo e ha fatto in modo che le parole siano sempre perfettamente comprensibili.
Nella parte del Sanctus, il musicista ha previsto la partecipazione dell’orchestra al completo, mentre il coro si muove principalmente nel registro medio-alto. L’effetto è imponente e ideale per celebrare la gloria divina. Inoltre, avendo adottato il metro ternario, Cherubini infonde una fierezza che sfocia naturalmente nell’invocazione “Hosanna in excelsis”.
Il Pie Jesu, penultima sezione del Requiem è la preghiera per le anime dei defunti e Cherubini la riveste di un’elegante melodia di otto battute, riprese più volte dalle varie voci. Un leitmotiv studiato per restare nella memoria degli ascoltatori.
L’orchestra appoggia le voci in pianissimo e solo in alcuni punti emergono clarinetti e fagotti ad arricchire la partitura con la loro peculiare sonorità.
Nella sezione finale del Requiem, l’Agnus Dei, il coro implora la pace eterna. L’Agnello di Dio viene invocato tre volte con notevole energia.
Cherubini ha previsto un’alternanza ben distinta di forte e piano e, dopo aver dato più corpo alla parte centrale (Lux aeterna), nel finale, la musica si abbandona a un pianissimo, che dalla preghiera declamata sfuma verso il silenzio dell’interiorità.
In copertina: particolare del “Ritratto di Luigi Cherubini” di Jean Auguste Dominique Ingres (1841, Cincinnati Art Museum) USA