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Berlioz e il capolavoro della “Grande messe des morts”

La “Grande messe des morts” o “Requiem” di Berlioz stupisce per l’impiego di un organico imponente; colpisce per la varietà di accenti; affascina per la sua teatralità.

La “Grande messe des morts” o “Requiem” di Berlioz stupisce per l’impiego di un organico imponente; colpisce per la varietà di accenti; affascina per la sua teatralità.

Se fossi minacciato della distruzione di tutti i miei lavori tranne uno, chiederei misericordia per la Messa dei morti“, disse lo stesso Berlioz della sua “Grande messe des morts”, che, non per niente, è una delle sue composizioni più famose.

Hector Louis Berlioz (La Côte-Saint-André, 11 dicembre 1803 – Parigi, 8 marzo 1869), compositore francese, appartiene di diritto al periodo romantico, ma fu musicalmente un rivoluzionario, perché, nonostante si avverta ancora nelle sue composizioni l’ombra di Beethoven, la sua scrittura è già protesa al futuro.
La sua musica mostra una grande versatilità: si passa da esplosioni fulminanti a momenti di grande intimità. In effetti, si potrebbe affermare che il compositore nelle sue opere non ha fatto altro che rievocare la sua stessa vita angosciata, oppressa da frustrazioni e incomprensioni, in particolare di natura professionale.

Berlioz ha scritto moltissima musica, traboccante di sentimenti legati alla quotidianità, tali sentimenti animano anche la Grande messe, il suo Requiem, nonché il suo capolavoro sacro, nonostante il compositore non fosse un credente.

Il musicista francese era particolarmente interessato ai contrasti e per dare una veste musicale adeguata al testo liturgico, prima di tutto si è messo in ascolto del testo che è quello tradizionale della messa di requiem in latino della tradizione romana (quella gallicana non includeva la Sequenza “Dies irae” e altre sezioni minori).
Nella sua personale interpretazione, Berlioz ha cercato di fornire una risposta alle parole che da sempre e forse per sempre continueranno a interrogare l’uomo.

La Grande messe des morts (Grande messa dei morti), op. 5 o Requiem, fu realizzata nel 1837, su richiesta del ministro degli interni, Adrien Étienne Pierre de Gasparin (1783 – 1862), in memoria di Édouard Adolphe Casimir Joseph Mortier (1768 – 1835; generale francese, maresciallo dell’Impero con Napoleone Bonaparte) che, il 28 luglio 1835, fu vittima dell’attentato di Giuseppe Marco Fieschi (1790 – 1836; rivoluzionario francese, capo cospiratore nell’attentato a Luigi Filippo) contro Luigi Filippo I di Francia (già Luigi Filippo, duca d’Orléans, 1773 – 1850).

De Gasparin aveva a cuore i giovani musicisti e al contempo, con l’incarico di un requiem a Berlioz, intendeva promuovere la ripresa del genere religioso.
Al musicista furono promessi 4.000 franchi (circa tre milioni di oggi) e gli fu assicurato di potersi avvalere di un complesso di 450 esecutori, tra orchestra e coro.

Il testo liturgico colpì profondamente il compositore, innanzitutto per la sua grandiosità, ma anche per la sua incredibile poeticità.
Affrontate con coraggio le iniziali criticità, Berlioz, a soli sei mesi dall’assunzione dell’incarico, aveva già concluso il suo lavoro. Purtroppo, il governo sospese per motivi politici la commemorazione del maresciallo Mortier, ma il compositore non si scoraggiò, la sua musica era pronta e sicuramente sarebbe arrivata l’occasione giusta per eseguirla, così fu: il 14 ottobre del 1837, Charles Marie Denys de Damrémont (1787 – 1837; generale francese, governatore militare dell’Algeria francese) morì in combattimento, durante l’Assedio di Costantina e il 30 ottobre, Berlioz propose al ministro della guerra di celebrare il caduto con l’esecuzione del suo Requiem.

La proposta fu accolta: il 5 dicembre il Requiem fu eseguito alla Cappella degli Invalidi, a dirigerlo fu François-Antoine Habeneck (1781-1849; violinista, direttore d’orchestra e compositore francese; uno dei primi e autorevoli direttori d’orchestra dell’età moderna).

Secondo le cronache, la composizione fu eseguita bene e produsse un effetto terrificante sulla gran parte degli ascoltatori, ciò dipese sia dalla monumentalità della composizione, sorretta da un’ispirazione originale e prodigiosa, sia dalla presenza di un impressionante organico: duecento coristi, un’orchestra di “140 esecutori, quattro raggruppamenti supplementari di strumenti a fiato posti ai lati dell’orchestra, sedici timpani, due grancasse, tam-tam, tre paia di piatti”.
Ma la particolarità del Requiem di Berlioz risiede in particolare nella sua capacità di contrapporre momenti di straordinaria delicatezza a episodi maestosi, creando un equilibrio perfetto che accresce le caratteristiche di entrambe le manifestazioni musicali.

Nel suo Requiem, il musicista francese è riuscito a rendere musicalmente, grazie ad eccezionali accostamenti timbrici e all’uso nuovo e singolare di melodia, ritmo e armonia, gli effetti di luce e colore delle vetrate gotiche, anticipando l’impressionismo armonico di Claude Debussy (1862-1918; compositore e pianista francese) e quello ritmico di Igor Strawinsky (1882-1971; compositore e direttore d’orchestra russo).

Il Requiem è composto da dieci parti, diverse sia dal punto di vista melodico, timbrico e dinamico sia per il taglio drammatico.

Il primo brano, “Requiem aeternam & Kyrie: Introitus”, è un’introduzione sinfonica. In questa parte della composizione sono proposti e poi elaborati temi che torneranno, seppur mutati, nelle altre parti. Il pezzo è suddiviso in due sezioni: un’addolorata implorazione per la pace eterna e un drammatico Kyrie.

Il secondo brano, “Dies irae: Prosa, Tuba mirum”, si apre invece con un motivo lento e grave, simile a una passacaglia (forma musicale di origine spagnola basata sulla variazione continua su di un tenor; il nome deriva dallo spagnolo e vuol dire passare la calle, cioè la strada, termine che manifesta la provenienza popolare da musicisti girovaghi) che sostiene tutta la struttura del pezzo che termina nel terzo brano, “Quid sum miser”, con la riproposizione del motivo di passacaglia, inframezzato da interventi del coro.

Il “Rex tremendae”, quarto brano, è concepito formalmente come un finale d’opera che si stempera nelle ultime note in una dolcezza che ritroviamo profusa nella quinta parte del Requiem, il “Quaerens me”: un mottetto, dove il coro solo (a sei voci) commenta il tema del perdono.

Il sesto brano, “Lacrimosa”, è un intermezzo dal ritmo di danza, caratterizzato da una melodia lamentosa. Nel finale, Berlioz riprende il tema del Dies Irae, mostrando un intento di unitarietà tra i quattro brani (dal secondo al quinto).

Il settimo pezzo, “Offertorio” è, secondo le indicazioni del musicista, un “coro delle anime del Purgatorio”, concepito in forma salmodica.

Segue l’ottavo brano, “Hostias”, seconda parte dell’Offertorio. In questa parte, Berlioz semplifica la strumentazione: utilizza solo i flauti e i tromboni all’unisono, cui si aggiungono gli accordi degli archi.

Nel nono pezzo, Il “Sanctus”, tenore e coro femminile si passano i temi fondamentali del brano, fino a confluire nella fuga dell’osanna.

Nel decimo e ultimo brano, “Agnus Dei”, Berlioz riprende i temi dell’Hostias e dell’inizio, concludendo nella pace dell’eterno riposo.

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