Come potevano mancare premonizioni di morte nell’opera musicale?
La scena nel cupo antro di Ulrica, la misteriosa indovina di “Un ballo in maschera” di Giuseppe Verdi, ne è un interessante esempio.
Poteva forse l’opera seria disdegnare un argomento promettente e suggestivo come una premonizione di morte?
Certamente, no. Tutto quello che poteva generare affetti ed effetti da esprimere debitamente in musica non si poteva tralasciare.
Anche Verdi non si fa sfuggire un’occasione così ghiotta e in Un ballo in maschera traccia con grande talento drammaturgico la figura di un’indovina che pronuncia una terribile premonizione.
Tutta l’opera poi, è giocata nell’alternarsi di due sfere contrapposte: quella dell’oscurità e quella della spensieratezza che si contendono scene e personaggi.
Oltre alle vicissitudini affrontate prima di arrivare sulle scene, Un ballo in maschera è interessante per il personaggio di Ulrica, “indovina di razza nera” – così definita dal librettista, Antonio Somma – che pronuncia una premonizione di morte all’inizio dell’opera. Attorno a questo cupo presagio ruoterà tutta la vicenda.
Nell’Atto I, scena IV, l’indovina è nominata per la prima volta, un giudice che giunge al cospetto di Riccardo, conte di Warwich, chiede che la donna sia esiliata per le sue pratiche magiche, in quanto: “nell’antro abbietto chiama i peggiori, d’ogni reo consiglio”.
Il conte si rivolge al suo paggio, Oscar, per avere una sua opinione, l’uomo difende l’indovina in una graziosa ballata, e la definisce come “del futuro l’alta Divinitrice”.
Incuriosito Riccardo decide di valutare di persona questa misteriosa e controversa figura, intravvedendo anche un possibile divertimento alle spalle dei creduloni che si rivolgono alla donna. Nel suo progetto coinvolge anche la sua corte: “Signori: oggi d’Ulrica alla magion v’invito, ma sotto altro vestito io là sarò”.
Solo Renato, il segretario creolo del conte, pensa non sia una buona idea. L’uomo teme per la sicurezza di Riccardo, e ha buoni motivi: c’è un gruppo di congiurati che trama per ucciderlo.
Il conte non si lascia convincere dai timori di Renato e vestito da pescatore si reca alle tre all’appuntamento presso l’antro di Ulrica.
L’abituro dell’indovina. A sinistra un camino, il fuoco è acceso, e la caldaia magica fuma sopra un treppie’; dallo stesso lato, l’uscio d’un oscuro recesso.
Così si apre la scena VI del primo atto, e già Somma ha tracciato con quella “fumante caldaia magica” e “l’uscio di un oscuro recesso” il cupo ambiente in cui si svolgerà l’azione.
Quando Riccardo, conte di Warwick, giunge sul luogo con il suo seguito, l’indovina è già al lavoro: in presenza di due giovani sta compiendo un misterioso rituale, attorno vi è una folla di popolani in attesa.
Verdi ha scelto di farci varcare la soglia di questo luogo oscuro con tre accordi, tre frustate sonore della piena orchestra a cui fa seguito uno sfondo di violini e viole.
Ulrica pronuncia le sue prime parole e già immaginiamo che cosa aspettarci:
Re dell’abisso, affrettati,
precipita per l’etra,
senza librar la folgore
il tetto mio penètra.
Ormai tre volte l’upupa
dall’alto sospirò;
la salamandra ignivora
tre volte sibilò…
e delle tombe il gemito
tre volte a me parlò.
Per un attimo, l’atmosfera cupa viene dissolta, quando arriva Riccardo e chiede un consulto, la gente lo ricaccia indietro. A questo punto, Ulrica attacca la seconda parte della sua aria e ripiombiamo nella precedente atmosfera cupa.
L’uso dell’orchestra e le figure musicali fanno a gara per mettere in evidenza l’oscurità e il potere di questa figura misteriosa. Timpani, tromboni, cimbasso (strumento musicale aerofono, in origine una specie di ibrido tra un trombone basso e una tuba) producono un rumore sordo a ogni accento, mentre corni e archi rabbrividiscono, quando Ulrica si sente posseduta dallo spirito di Lucifero.
Nella frase finale dell’aria, l’indovina pronuncia: “Nulla, più nulla ascondersi al guardo mio potrà!”, alla sua voce si uniscono clarinetti, fagotti e violoncelli, mentre fa la sua comparsa il “diabolus in musica” (tritono, intervallo di quarta aumentata composto da tre toni interi. Uno degli intervalli più dissonanti della scala diatonica. Per la singolarità del suo effetto melodico fu, almeno in teoria, evitato nella musica medievale) e una minacciosa linea melodica a spirale richiama l’idea di un oscuro potere che sale dalle profondità.
Successivamente, Riccardo si presenta alla maga, travestito da pescatore; dal tenore della musica e delle parole, Ulrica comprende di essere presa in giro e dice: “chi voi siate, l’audace parola/Può nel pianto prorompere un giorno”, la musica accompagna la minaccia delle parole con sonorità agghiaccianti, mentre l’“a solo” di corno suggerisce l’idea della morte.
Riccardo offre la mano all’indovina che dopo aver fatto dei cenni al vissuto del conte, lo respinge.
Il conte insiste, vuole sapere che cosa ha visto la donna, la quale alla fine cede e pronuncia una premonizione di morte, su un lungo accordo in fortissimo degli ottoni.
Riccardo pensa a una morte sul campo di battaglia, ma Ulrica precisa: morirà per mano di un amico.
L’annuncio provoca un terrore che si esprime musicalmente in tredici battute di un pianissimo; presto però ritorna un clima ilare, proposto dall’attacco da parte di Riccardo del quintetto con coro.
Il conte non crede alla profezia: “è scherzo od è follia”.
Dopo aver espresso il suo scetticismo, Riccardo vuole sapere chi lo ucciderà, e Ulrica risponde: “chi primo/tua man quest’oggi stringerà”.
Il conte sfida i presenti a smentire le parole della maga, ma nessuno vuole stringergli la mano. In quel mentre, entra Renato, il segretario del conte, nonché suo amico carissimo, il quale, senza esitare, stringe la mano che Riccardo gli porge. A quel gesto spontaneo, Il conte risponde con una frase gioiosa “Sì: perché la man ch’io stringo/è del più fido amico mio…”
Riccardo è sicuro: non ha nulla da temere, perché Renato non lo tradirà mai.
Svelato lo scherzo e rivelata la sua vera identità, il conte revoca l’esilio a Ulrica e le dona una borsa piena d’oro; la donna, commossa dal gesto, lo avverte di stare in guardia, perché tra il suo seguito c’è un traditore, anzi, l’indovina aggiunge: “più d’uno/forse…”
Il conte smentisce quelle insinuazioni con la sua caratteristica leggerezza, purtroppo per lui la premonizione si rivelerà fondata: verrà ucciso durante il ballo in maschera, pugnalato da Renato che crede che il conte sia l’amante di sua moglie. In realtà, Riccardo aveva rinunciato alla donna (Amelia) che ricambia i suoi sentimenti, per rispetto nei confronti del suo amico.
Ma Ulrica è davvero una potente maga o solo un’abile imbrogliona?
Nel testo originale di Scribe è certamente un’astuta imbonitrice e tale ipotesi si adatta anche alla versione di Verdi e di Somma.
L’invocazione iniziale di Ulrica è puro imbroglio.
Quando poi Riccardo e i suoi accompagnatori la prendono in giro, lei per vendicarsi, li spaventa con un terribile vaticinio, ma osservando i presenti, la donna si accorge che nel seguito di Riccardo, Samuel e Tom sono a disagio e questo conferma i suoi sospetti, così aggiungerà alla terribile premonizione anche la profezia della stretta di mano.
Successivamente, l’indovina rimane colpita dalla generosità di Riccardo e gli elargisce un avvertimento: il pericolo è concreto e lui dovrebbe fare attenzione.
Questo atto è strano, se crediamo che la donna sia davvero un’indovina. Infatti, perché mettere in guardia qualcuno, se il destino ha già deciso che quell’uomo è condannato?
Comunque, la vera natura di Ulrica ha poca importanza rispetto alla sorte del conte: Riccardo agisce seguendo un suo impulso ed è questo che lo condurrà alla catastrofe finale.
Invece, considerare Ulrica una scaltra imbrogliona apre sicuramente più prospettive a livello drammaturgico: in questo modo, la donna può dominare tutti gli altri personaggi con la sua astuzia, ed è certamente più accattivante la figura di un’abile truffatrice che una maga, semplice messaggera di premonizioni infernali.