“Ed è subito sera”, lirica di tre versi di Salvatore Quasimodo, è una delle poesie emblematiche dell’Ermetismo, in essa è espresso tutto il complesso dilemma dell’esistenza umana.
“Ed è subito sera” è la poesia di apertura della raccolta omonima (pubblicata nel 1942) di Salvatore Quasimodo (Modica, 20 agosto 1901 – Napoli, 14 giugno 1968), uno tra i componimenti poetici più brevi e più noti del poeta e più in generale della corrente ermetica.
La definizione di “ermetismo”, termine adottato nel 1936 da Francesco Flora (1891 – 1962; critico letterario, storico della letteratura, poeta e scrittore italiano), è correlata a un atteggiamento tenuto da un gruppo di poeti e rinvia a una concezione mistica della parola poetica, in quanto connessa alla figura leggendaria e mistica di Ermete Trismegisto che si ispirava all’antica sapienza egizia; un altro possibile riferimento del termine è ad Ermete, dio delle scienze occulte, per evidenziare la difficoltà di comprensione di questo genere di poesia.
Dal punto di vista letterario, la parola ermetismo designa una poesia dal carattere chiuso e complesso che solitamente è ottenuto con un succedersi di analogie di difficile interpretazione.
Alla base di questo movimento, che si ispirò ai poeti del simbolismo francese (Mallarmé, Rimbaud, Verlaine e Paul Valéry), c’erano un gruppo di poeti, detti appunto ermetici, tra questi, oltre a Mario Luzi (1914 – 2005) e Alfonso Gatto (1909 – 1976), c’era anche Salvatore Quasimodo.
Inizialmente, la poesia “Ed è subito sera” non era una lirica a sé stante, bensì la terzina finale di un componimento poetico più lungo: “Solitudini”, contenuto in “Acque e terre” (1930), prima raccolta di poesie del poeta, che includeva liriche scritte da Quasimodo tra il 1920 e il 1929 (alcune delle quali erano già state pubblicate sulla rivista “Solaria”). Questa raccolta, insieme con “Oboe sommerso”, fanno parte della fase del primo Quasimodo.
Il poeta ha riassunto in pochi versi tre aspetti fondamentali della vita dell’uomo: la solitudine, causata dall’incomunicabilità tra gli esseri umani; l’alternarsi di gioia e dolore; il senso della provvisorietà della vita.
Gli uomini, secondo il poeta, pur vivendo in mezzo agli altri (“sul cuor della terra“) si sentono soli, perché è impossibile stabilire un rapporto duraturo con un altro essere umano. Si ritiene che lo stare soli “sul cuor della terra” voglia indicare il momento individuale in cui l’uomo si chiede quale sia il senso della vita, ossia che cosa gli consenta di trascendere la morte.
Al contempo l’individuo è sospinto dalle illusioni (“un raggio di sole“), convinto di essere il o al centro della terra, illuminato; incitato a ricercare una felicità. Questa ricerca procura all’uomo gioia e dolore, e Quasimodo sottolinea questo status ambivalente, contrapponendo all’immagine positiva del raggio di sole la parola “trafitto“. Infine, proprio come la luce del giorno conduce in fretta all’oscurità della notte, altrettanto rapidamente, la vita dell’uomo giunge alla morte (“ed è subito sera“).
Il tema della morte, espresso nell’ultimo verso della poesia di Quasimodo, richiama in un certo qual modo la frase latina “ars longa vita brevis” (la vita è breve, l’arte lunga), cioè le parole iniziali del primo degli “Aforismi” di Ippocrate, che allude all’arte della medicina. La frase si ripete a volte per rammaricarsi della brevità della vita rispetto a ciò che si vorrebbe fare o come esortazione a non perdere tempo.
La constatazione della brevità della vita è un tema d’attualità anche all’inizio del Novecento, quando l’uomo, costretto ad affrontare l’avanzare della civiltà delle macchine con i loro ritmi frenetici, fatica ad adattarsi.
In questi tre versi, Quasimodo non si risparmia neppure stilisticamente: compaiono diverse figure retoriche nonostante la brevità della poesia. Ci sono metafore (“sul cuor della terra“, “sera“), assonanze (“terra-sera“), allitterazioni e richiami sonori (“sta solo sul“, “subito sera“, “cuor della terra“), paronomasie: “solo-sole“, un’analogia (“trafitto da un raggio di sole“), sineddoche (“un raggio di sole“).
L’uso di tutte queste figure retoriche attribuisce alla poesia un andamento grave che suona quasi come una sentenza con la quale devono fare i conti tutti gli esseri umani.
Ed è subito sera
Ognuno sta sul cuor della terra,
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.