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Letteratura e morte: Boito Tolstòj e Proust #6

La letteratura non ha mai lasciato raffreddare il tema della morte e gli scrittori hanno continuato a esprimere la propria visione e quella del loro tempo riguardo a questo impegnativo argomento. Tra loro sondiamo l’opinione di: Boito, Tolstòj e Proust.

La letteratura non ha mai lasciato raffreddare il tema della morte e gli scrittori hanno continuato a esprimere la propria visione e quella del loro tempo riguardo a questo impegnativo argomento. Tra loro sondiamo l’opinione di: Boito, Tolstòj e Proust.

Camillo Boito (Roma, 30 ottobre 1836 – Milano, 28 giugno 1914), rappresentante della Scapigliatura (gruppo artistico e letterario sviluppatosi nell’Italia settentrionale a partire dagli anni sessanta dell’Ottocento; ebbe il suo fulcro a Milano e poi si affermò in tutta la penisola), ha trattato il tema della morte in relazione al problema artistico del Realismo (movimento che si è affermato nell’Ottocento, quando gli scrittori avvertivano l’esigenza di ritrarre la realtà quotidiana) e a quello scientifico del positivismo (movimento filosofico e culturale, nato in Francia nella prima metà del XIX secolo e ispirato ad alcune idee principali riferite in genere all’esaltazione del progresso scientifico). Lo scrittore ha in pratica cercato, attraverso la letteratura, di esprimere alla contemporaneità il conflitto in atto tra arte e scienza.

E lo fa in particolare con una novella “Un corpo” (1876) che in sostanza narra della singolare convinzione di un anatomista, Karl Gulz, sostenitore dello scientismo dell’epoca, di poter scoprire il segreto della bellezza del corpo umano attraverso la dissezione dei cadaveri. Per questo egli vorrebbe, grazie al suo bisturi, svelare il mistero estetico racchiuso nel corpo di Carlotta, un’avvenente modella, nonché amante del narratore, pittore anonimo scapigliato. L’artista discuterà con l’anatomista, perché entrambi ritengono la propria disciplina come la più valida a poter cogliere la bellezza.
Sta di fatto che Carlotta muore, cadendo in un fiume e finirà sul tavolo dell’anatomista che finalmente, può studiarne le forme. Infine, spiegherà in modo lapalissiano allo sfortunato fidanzato che è la scienza ad avere il predominio sulle ragioni del sentimento e dell’arte.
S’ella avesse amato uno spirito, l’amerebbe tuttavia, non foss’altro nella memoria; ma ell’ha amato una manifestazione fuggevole della materia, ed è naturale che, l’oggetto della passione cangiando figura, la passione svanisca. Io amo invece questo corpo mille volte più adesso che prima, giacché contribuisce ad accostarmi al vero. Insomma, la sola cosa effettiva, la sola cosa reale, è la scienza. Il resto è illusione o fantasmagoria”.

Invece, per Lev Nikolàevič Tolstòj (Jàsnaja Poljàna, 9 settembre 1828 – Astàpovo, 20 novembre 1910) scrivere sul tema della morte è un modo per riflettere in maniera profonda sulla vita e nel 1886, lo scrittore mette nero su bianco le sue riflessioni, pubblicando il racconto “La morte di Ivan Ilic”, dove denuncia bugie e ipocrisia della società borghese burocratica, regolata da meccanismi e rapporti molto rigidi che, se presi in esame, rivelano tutta la loro sostanza artefatta e deludente.
Il protagonista del racconto è un funzionario che, per gran parte della sua vita, ha seguito quelle regole e quei meccanismi fittizi, credendo di trovare piacere e soddisfazione nel farlo. Un incidente e poi la malattia che alla fine lo condurrà alla morte, lo renderanno consapevole dell’assurdità dell’esistenza che finora ha vissuto e la morte per Ivan Ilic diventerà una sorta di liberazione, un mezzo per abbandonare le vecchie abitudini, per lasciarsi alle spalle le etichette e le opinioni altrui, che tolgono spontaneità e impediscono alle persone di focalizzarsi sui sentimenti veri.
Per il personaggio di Tolstoj, Ivan Ilic, lo scrittore si è ispirato a un fatto reale: la morte di Ivan Il’ič Mečnikov (1836, 1881), procuratore di Tula, fratello di Il’ja Il’ič Mečnikov, Premio Nobel per la Medicina.

Marcel Proust (Parigi, 10 luglio 1871 – Parigi, 18 novembre 1922) ci fornisce la sua opinione sulla morte nella sua “Recherche”. Per lo scrittore essa provoca divisione e dolore, e lascia un vuoto. A questa idea più comune, aggiunge un’altra idea più interessante e cioè che se un uomo è anche un artista, le due figure sono distinte, per cui se l’uomo muore, l’artista è eterno: continua a vivere nella memoria di coloro che hanno apprezzato e amato le sue opere.
Secondo Proust, quindi, l’arte può salvare la vita degli uomini e questa per lui è la funzione fondamentale dell’arte per l’umanità.
Lo si seppellì, ma durante tutta la notte funebre, dalle vetrine illuminate, i suoi libri, disposti a gruppi di tre, vegliavano come degli angeli dalle ali spiegate e sembravano, per colui che non c’era più, il simbolo della sua resurrezione”.

In copertina: particolare del ritratto di Lev Nikolàevič Tolstòj di Il’ja Efimovič Repin (1887)

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