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Letteratura e morte #9: morti memorabili in Buzzati, Verga e Mann

Buzzati, Verga e Mann affrontano, attraverso le vicissitudini dei loro personaggi, il tema della morte, ognuno fornendo al lettore la propria personale chiave di lettura.

Buzzati, Verga e Mann affrontano, attraverso le vicissitudini dei loro personaggi, il tema della morte, ognuno fornendo al lettore la propria personale chiave di lettura.

In letteratura il tema della morte può essere affrontato in varie maniere, ad esempio, analizzando il modo in cui è vissuta da un determinato personaggio e studiando il contesto in cui si muove.

Esistono molti interessanti e notevoli esempi letterari di morti memorabili, vissute e risolte in modo diverso. Ad esempio, ne “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati (San Pellegrino di Belluno, 16 ottobre 1906 – Milano, 28 gennaio 1972), pubblicato nel 1940, il protagonista del romanzo, Giovanni Drogo, sollecita nei lettori un angoscioso senso di pena: tutta la sua vita si consuma nell’attesa di un riscatto dall’insignificanza della sua situazione esistenziale monotona, riscatto che non giungerà mai.
Drogo vede passare gli anni, che lasciano su di lui segni indelebili, fino giungere al naturale traguardo della vita: la morte che avverrà nella solitudine di una stanza.
In questo romanzo, la morte è rappresentata come un evento solitario, un dramma personale. Il dramma di trovarsi di fronte a un destino ineluttabile a cui è inutile ribellarsi.
In un certo senso, però, per il protagonista sarà la morte il riscatto che tanto attendeva, anche se non era di certo quello che si aspettava. È un riscatto perché la morte rende vana e illusoria ogni cura terrena, ogni interesse per il mondo e finisce per delineare una prospettiva di una vita più vera.

Una morte priva di speranza e di qualsiasi aspirazione di luce è invece, quella di Mastro-don Gesualdo nell’omonimo romanzo che, all’opposto del protagonista di Buzzati, ci mostra una cura ossessiva per ciò che è materiale.
Il personaggio descritto da Giovanni Verga (Catania, 2 settembre 1840 – Catania, 27 gennaio 1922) nel suo romanzo pubblicato nel 1889, incarna l’impossibilità di un riscatto.
Nell’avviarsi verso la morte, a causa di una malattia, Mastro-don Gesualdo è tormentato nel corpo e nell’anima; è divorato dall’impotenza di fronte allo sperpero dei suoi averi e non mostra cambiamenti di rotta. Per lui non c’è alcun orizzonte cui aspirare e neppure un barlume di luce cui attingere.
La sua morte non ha prospettive ultraterrene e Verga la rappresenta addirittura come un evento scontato, senza alcuna importanza.

Un altro esempio di morte memorabile la troviamo nella novella “La morte a Venezia” (Der Tod in Venedig) di Thomas Mann (Lubecca, 6 giugno 1875 – Zurigo, 12 agosto 1955). In questo caso, lo scrittore ci mette a parte di un tragico, inesorabile destino di morte che viene proiettato sulla città lagunare.
La storia si evolve in una Venezia malata che, sin dalle prima pagine del racconto, lascia intuire al lettore una drammatica ineluttabilità. La morte sembra avvolgere ogni cosa: si manifesta nei miasmi mortiferi delle acque e persino nel vento, veicoli della diffusione del colera.
In questa atmosfera perniciosa, la stessa morte di Aschenbach, lo scrittore protagonista del racconto, è collegata al destino di morte che sembra gravare sulla città.

In copertina: Wolfgang Born, litografia per Morte a Venezia (1921)

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