il Lamento del Fiume
Mi avvicino con delicatezza, facendo frusciare le canne lungo le su rive. La sua acqua scorre placida, scintillando sotto la luce del sole, ma c’è un’inquietudine nascosta nel suo mormorio. Il fiume, antico e saggio, sente la mia presenza e mi accoglie con un sussurro di corrente.
“Vento,” inizia il fiume con una voce che sembra emergere da profondità insondabili, “sei tornato da me. Porti ancora una volta le storie della Terra?”
Danzo leggero sopra la superficie dell’acqua, mescolando le sue correnti.
“Sì, vecchio amico. Ho ascoltato la Terra, ho sentito la sua sofferenza. Ora, desidero udire la tua voce. Raccontami di te, della tua storia, delle tue acque che si muovono senza fine.”
Lui sospira, un suono lungo e malinconico che rimbomba tra le sponde.
“Oh, Vento, la mia storia è una lunga corrente che nasce dai ghiacciai millenari e si spegne nell’immensità del mare. Ho vissuto ere di cambiamenti, eppure la mia essenza è rimasta sempre la stessa. Scorro incessantemente, trascinando con me i segreti della Terra e i ricordi di ogni creatura che ha bevuto dalle mie acque o si è immersa nel mio abbraccio.”
Mi fermo per un istante, lasciando che il fiume si esprima senza fretta.
“Cosa hai visto, fiume? Quali storie hai trasportato con te?”
Mi risponde con una calma solenne, come se stesse scandagliando le sue profondità per recuperare ricordi antichi.
“Ho visto la nascita dei primi uomini, le loro tribù nomadi che seguivano il mio corso per sopravvivere. Ho dato vita ai loro raccolti, ho nutrito gli animali che cacciavano. Sono stato fonte di speranza per i deserti assetati e ho segnato i confini di regni che sono scomparsi nella polvere del tempo.” Fa una breve pausa, poi continua con una nota di tristezza, “Ma non sono solo un portatore di vita. So anche cosa significa distruggere. Quando le mie acque crescono inarrestabili dopo le piogge torrenziali, travolgo tutto ciò che si trova sul mio cammino. Villaggi, campi, case. Nulla può fermarmi. In un istante, tutto ciò che ho nutrito può essere spazzato via. Questo è il mio potere e il mio fardello.”
Con empatia mi avvicino di nuovo, sfiorando la sua superficie come per confortarlo.
“Cosa è cambiato per te? Perché sento una tale tristezza nel tuo scorrere?”
“Un tempo ero libero” risponde, con una voce grave e malinconica, “le mie acque scorrevano secondo la mia volontà. Cambiavo il corso della Terra, modellavo valli e riempivo laghi. Ma ora, le mani dell’uomo mi incatenano. Mi arginano, mi deviano, mi costringono a scorrere dove non vorrei andare. Non posso più allagare le pianure come facevo per nutrire la terra. Le mie acque sono incanalate in condotte di cemento, imbrigliate da dighe e centrali. Io, che un tempo ero un simbolo di libertà e potere, sono stato ridotto ad uno strumento, una risorsa da sfruttare.” Lo ascolto in silenzio, lasciando che si sfoghi, “Non solo mi limitano, ma mi avvelenano. Le fabbriche riversano liquami nelle mie acque, le città scaricano i loro rifiuti senza rispetto per la mia purezza. Un tempo, le mie acque erano limpide, cristalline, riflettevano il cielo e la vita che pullulava sulle mie sponde. Ora, in alcuni tratti, sono diventate torbide, morte. I pesci, che erano una volta miei compagni fidati, fuggono o muoiono nelle mie acque tossiche. Gli uccelli migratori, che da sempre seguivano il mio corso per trovare rifugio, ora si allontanano.”
Mi increspo, turbato dalla gravità delle sue parole.
“Ti hanno tolto la tua libertà” gli mormoro, “ma tu continui a scorrere. Cos’è che ti spinge ancora avanti, nonostante tutto?”
“È la mia natura.” risponde con una nota di risolutezza nella voce, “Non posso fermarmi. Anche se il mio corso è cambiato, anche se le mie acque sono inquinate, devo continuare. Sono il simbolo del ciclo della vita. Senza di me, le piante muoiono, gli animali scompaiono. Anche l’uomo, che ora mi sfrutta senza pietà, dipende da me. Continuo a scorrere perché è ciò che sono. E porto con me tutte le storie della terra, anche quelle più dolorose.”
Mi sollevo, portando con me una folata e mi muovo lungo il suo corso, quasi a voler diffondere il suo racconto.
“Hai vissuto tanto, eppure soffri come la Terra. Non ti ribelli?”
“Non posso,” mi risponde, con un’eco di tristezza e accettazione. “Io sono il cambiamento, il mutamento. Mi adatto, anche quando mi fanno soffrire. Ma c’è qualcosa che non posso accettare… vedere le creature che dipendono da me morire. Non posso sopportare che le mie acque, che un tempo donavano vita, ora portino morte.”
“Parlami di loro,” gli chiedo, avvolgendolo dolcemente, “parlami delle creature che vivono grazie a te.”
“Ho visto tribù antiche costruire le loro vite lungo le mie sponde. Ho visto generazioni di animali bere dalle mie acque e migrare lungo i miei flussi. I pesci, che nuotavano controcorrente per tornare ai luoghi dove sono nati, erano per me simbolo di forza e resilienza. Gli uccelli, che attraversavano continenti interi, si fermavano lungo il mio corso per riposare. Ma ora, il mio scorrere è cambiato. Le tribù nomadi che mi veneravano sono state scacciate. Gli animali che un tempo si abbeveravano da me sono costretti a cercare altrove, poiché le mie acque sono avvelenate. Il ciclo si è spezzato.”
Ed io, sempre più greve, porto con me le sue parole.
“E cosa speri? Cosa desideri per il futuro?”
“Desidero essere libero,” sussurra, la sua voce è come una corrente sotterranea che scorre invisibile ma inarrestabile, “desidero tornare a essere un simbolo di vita, di rinascita. Desidero che le mie acque tornino pure, che le creature tornino a popolare le mie sponde, che le mie correnti non siano più avvelenate. Non cerco vendetta, ma equilibrio. Voglio che l’uomo ricordi il patto che aveva con me, come con la Terra. Un tempo eravamo parte di un tutto, ora siamo frammenti in lotta.”
Sospinto da una curiosità sempre più profonda, scivolo ancora più vicino alla sua superficie. La mia voce diventa più morbida, quasi un sussurro.
“Fiume”, inizio, con una nota di riflessione, “Hai raccontato delle vite che hai nutrito, delle creature che hanno tratto forza da te. Ma cosa mi dici di coloro che ti hanno cercato non per la vita, ma per la fine? Chi ha trovato in te il sollievo, l’oblio? Raccontami delle anime insoddisfatte, che hanno scelto di affidarsi alle tue acque per abbandonare il peso dell’esistenza.”
Lui rimane in silenzio per un lungo momento, le sue correnti si fanno più lente, come se stesse cercando le parole giuste. Poi, con una voce più grave, risponde…
“Ah, Vento, hai toccato un aspetto oscuro della mia esistenza. Non tutti coloro che mi hanno cercato lo hanno fatto con speranza o gratitudine. Ho visto molte vite spegnersi nelle mie acque, e ho sentito il peso della loro disperazione. Sono stato testimone di chi, stanco di vivere, ha deciso di consegnarsi a me, cercando in me un rifugio dalla sofferenza.”
Mi muovo appena, sospeso tra le foglie degli alberi che lo costeggiano.
“Perché? Perché hanno scelto te?”
Il fiume si increspa leggermente, come se volesse riflettere prima di rispondermi.
“Sono simbolo di continuità, sì, ma anche di fine. Nelle mie profondità, molti hanno visto la possibilità di trovare pace, di fermare il dolore che sentivano nella vita. Alcuni mi hanno cercato come una via d’uscita, un abbraccio che mettesse fine alla loro lotta contro il mondo, contro se stessi. Le mie acque, che portano con sé vita, sono viste anche come un luogo di riposo eterno. Per alcuni, le mie correnti rappresentano l’ultima libertà: quella di smettere di lottare.”
Con un soffio lieve, chiedo ancora: “Cosa provi quando accogli queste anime? Quando senti che qualcuno si arrende a te?”
Egli sospira profondamente, una corrente silenziosa e quasi impercettibile.
“Non è una gioia, Vento. Ogni volta che una vita si spegne nelle mie acque, sento il peso della loro sofferenza. Non sono fatto per portare la morte, eppure ho visto uomini e donne venire a me con il cuore spezzato, con gli occhi vuoti di speranza. Hanno camminato verso di me come se io fossi la loro ultima consolazione, e io li ho accolti, senza poterli fermare.”
“Li hai sentiti?” gli chiedo, la mia voce un sussurro tra le onde. “Le loro voci, i loro pensieri?”
“Sì.” risponde il fiume, con un tono intriso di tristezza, “Li ho sentiti. Erano anime spezzate, schiacciate dal peso delle loro stesse esistenze. Alcuni mi parlavano mentre si avvicinavano alla riva. Le loro parole erano cariche di angoscia, di rimpianto. Ho sentito la stanchezza, il senso di inutilità. Cercavano la pace nelle mie acque perché non la trovavano più nel mondo.”
Turbato da quelle parole gli chiedo: “Che storie portavano con loro?”
Egli si fa più calmo, le sue acque si distendono come per raccogliere quei ricordi.
“Le storie sono diverse, ma tutte unite da un filo comune: la sensazione di essere stati traditi dalla vita. Alcuni erano giovani, troppo giovani per essere così stanchi. Sentivano di non avere uno scopo, di essere persi. Altri erano più anziani, disillusi dal tempo, abbandonati da coloro che amavano, dimenticati dalla società. Ho sentito di amori non corrisposti, di sogni infranti, di battaglie interiori combattute nell’oscurità, senza nessuno a tendere una mano. Sono arrivati a me per spegnere il dolore che li divorava dall’interno.”
Ed io, con un tono quasi dolente: “E tu, cosa hai fatto? Li hai accolti senza giudizio?”
“Non giudico” mi risponde, con una calma antica, “Non posso. Io scorro, inarrestabile, attraverso le vite e le morti, senza poter cambiare il loro corso. Li ho accolti, sì. Le mie acque li hanno avvolti, li hanno portati via. Alcuni li ho trasportati dolcemente verso il mare, lasciando che il loro peso si dissolvesse tra le onde. Altri, invece, si sono persi nelle mie correnti, sparendo nel silenzio delle mie profondità. Ogni volta, però, sento il loro passaggio come una ferita.”
Mi fermo, lasciando che le parole del fiume riempiano l’aria per un attimo.
“Qual è la tua speranza? Quando una vita ti cerca per mettere fine alla propria sofferenza, cosa desideri per loro?”
Rifletté a lungo, il suo scorrere calmo, ma pesante.
“Desidero che trovino la pace che non hanno trovato altrove. Desidero che, in qualche modo, le mie acque possano portare via il loro dolore, anche se è troppo tardi per salvare le loro vite. Ma, più di tutto, vorrei che non fossero costretti a venire da me per cercare la fine. Vorrei che trovassero la forza di continuare, di nuotare controcorrente come i pesci che risalgono il mio corso. Vorrei essere fonte di rinascita, non di oblio.”
Ora sono più consapevole del fardello che porta con sé, resto a lungo in silenzio. Poi, con un soffio delicato, aggiungo:
“Forse, un giorno, le loro anime ritorneranno con un altro volto e un altro nome, proveranno a vivere in modo diverso, senza cercare la fine tra le tue onde.”
Il fiume, in risposta, emette un sussurro sommesso, quasi impercettibile.
“Lo spero, Vento. Lo spero davvero. Ma finché scorro, accoglierò ogni anima che si affiderà a me. Non posso fare altro.”
Portando con me il dolore e le sue speranze, riprendo il mio viaggio, scivolando lungo le rive e diffondendo il lamento delle acque nelle valli lontane, sperando che, da qualche parte, qualcuno ascolti. Le acque continueranno a scorrere, ma il loro lamento non sarà dimenticato.
segue (….) – il Canto degli Alberi