Gerione, personaggio legato al regno dei morti, è nominato in molte fonti; la sua figura mostruosa compare nella mitologia greca, nell’Eneide e persino nella Divina Commedia di Dante.
In origine, Gerione è concepito come una figura del mondo sotterraneo. Lo troviamo rappresentato all’interno della Grotta dell’Orco, a Tarquinia, in una pittura parietale etrusca (metà del sec. IV a.C.?). Insieme a lui sono raffigurati Persefone e Ade, i sovrani dell’oltretomba. Questo rapporto di Gerione con il regno dei morti discende dalla tradizione italica ed è riaffermato da Orazio e Virgilio.
A giudicare dalle caratteristiche delle loro figure mitologiche, gli antichi greci erano dotati di una fervida fantasia. Gerione appartiene alla carrellata di personaggi dal singolare aspetto: gigante fortissimo, tricefalo (con tre teste) e tre busti che si riuniscono nel bacino.
L’arte romana, invece, raffigurava Gerione con tre corpi oppure solo con tre teste.
Gerione era figlio di Crisaore e della oceanina (oceanine: ninfe, figlie di Oceano e Teti, vivono nel fondo del mare, nelle fonti e nelle sorgenti) Calliroe e fratello di Echidna. Abitava in Eriteia, un’isola che si suppone fosse collocata alla foce del Guadalquivir, presso Cadice.
Gerione era il sovrano dell’Isola di Eritea e possedeva una mandria di vacche rosse, consacrate ad Apollo.
Le giovenche erano guidate da Euritione (re dei Centauri, figlio di Ares e dell’esperide Eritea) e sorvegliate dal cane a due teste, Ortro.
Secondo il racconto di Apollodoro, Eracle ebbe l’incarico da Euristeo di sottrarre le giovenche di Gerione. Questa impresa è in pratica la decima fatica dell’eroe.
Per impadronirsi della mandria, Eracle dovette dapprima recarsi in Libia, poi passò per il paese di Tartesso (antica città-stato la cui ubicazione si suppone fosse nell’Iberia meridionale); collocò due colonne identiche sulle due rive dello stretto e successivamente, attraversò l’Oceano con la barca di Helios.
Giunto a Eriteia, l’eroe si accampò sul monte Abas, qui fu assalito dal cane Ortro. Eracle uccise il cane e anche il pastore Euritione che custodiva le giovenche. Presso il fiume Antemois, Eracle dovette affrontare e uccidere anche Gerione che si era opposto al ratto della sua mandria.
Gerione ebbe la peggio ed Eracle, compiuta la sua missione, intraprese il viaggio di ritorno. Solo dopo aver superato molti altri ostacoli – tra cui uno sciame di mosche inviate da Era per uccidere le vacche – Eracle riuscirà a consegnare le giovenche a Euristeo.
La figura di Gerione compare anche in un componimento poetico del VI secolo a.C., di Stesicoro: la “Gerioneide”, un canto citarodico (la citarodia era un genere della lirica dell’antica Grecia basato sul canto accompagnato da uno strumento a corde come lira o cetra).
Successivamente, Gerione viene citato nell’Eneide di Virgilio, dove è definito: “forma tricorporis umbrae” (forma del fantasma dai tre corpi).
Anche Dante, nella Divina Commedia (XVI canto dell’Inferno e XXVII canto del Purgatorio), nomina Gerione. Il poeta lo descrive come un mostro dal corpo chimerico: volto d’uomo; zampe di leone; corpo di serpente; ali da demonio; coda di scorpione.
Questa creatura mitica deriva sia dalla zoologia del Medioevo sia dall’Apocalisse. L’apostolo Giovanni, in alcuni versi del Nuovo Testamento, descrive delle cavallette che hanno volto umano, capelli di donna, code come scorpioni e denti di leone.
Nel capolavoro di Dante, Gerione è a guardia dell’ottavo cerchio e simboleggia la falsità: il volto umano raffigura il fraudolento che intende passare per innocente, mentre il corpo di serpente rappresenta la malvagità e la falsità, tipica dei fraudolenti.
In copertina: Gerione ed il cane Ortro, anfora greca del 500 a.C. circa