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Requiem di Dvořák: un capolavoro di coralità

Il Requiem di Dvořák si distingue da opere dello stesso genere di altri autori famosi per l’assenza di un intento commemorativo, mentre è chiaro che è nato per essere eseguito nelle sale da concerto.

Il Requiem di Dvořák si distingue da opere dello stesso genere di altri autori famosi per l’assenza di un intento commemorativo, mentre è chiaro che è nato per essere eseguito nelle sale da concerto.

Il Requiem in si bemolle minore per soli, coro, orchestra e organo, op. 89 (B. 165) è una messa funebre, composta nel 1890 da Antonín Dvořák (Nelahozeves, 8 settembre 1841 – Praga, 1° maggio 1904).

Il compositore ceco è noto soprattutto per le sue composizioni sinfoniche. Dotato di un linguaggio spontaneo, di una grande abilità sinfonica e di una notevole capacità nell’impiego del colore orchestrale, è considerato uno dei più grandi protagonisti della musica boema dell’Ottocento, insieme con Bedřich Smetana (1824 – 1884) e Leoš Janáček (1854 – 1928).
Nelle sue composizioni è evidente l’influsso della musica tedesca (specie Brahms e Wagner), ma è anche rilevabile un grande interesse per i canti popolari della sua terra.

Dvořák scrisse il Requiem si bemolle minore all’inizio della sua fase di maggiore attività creativa ed è l’ultima delle grandi composizioni sacre scritte dal musicista.
L’origine di tale opera è legata alla richiesta di una composizione corale da eseguire durante il Festival musicale di Birmingham.
Il compositore fu felice di rispondere positivamente alla richiesta, soprattutto in segno di gratitudine per le accoglienze calorose che aveva ricevuto in Inghilterra durante varie apparizioni (esecuzione in prima assoluta dello Stabat Mater al Royal Albert Hall di Londra il 10 maggio 1883; commissione di una Sinfonia; ripetute presenze nei festival corali inglesi a Birmingham e Leeds) sia come autore sia come direttore d’orchestra.

Anche se Dvořák era strettamente legato alla tradizione della propria terra e a quella della cultura strumentale austro-tedesca, ammirava particolarmente la civiltà inglese, specie per la fervente attività dei suoi cori e dei suoi festival corali, animati da associazioni di dilettanti dotati di grande passione e tecnicamente preparati.

L’attività corale era sempre stata piuttosto vivace in Inghilterra. A partire da Händel, praticamente senza interruzioni, era giunta fino a Mendelssohn, per poi riemergere con ancor più forza in epoca vittoriana, dando vita a diverse iniziative che richiedevano l’intervento di compositori stranieri, non essendo sufficienti gli apporti musicali degli artisti locali. Da qui, la richiesta rivolta a Dvořák la cui musica era particolarmente apprezzata in Inghilterra.

La scelta di comporre un Requiem fu un’idea autonoma del musicista e gli organizzatori del Festival furono ben felici di accettare la sua proposta.
Il compositore scrisse gli abbozzi dei primi sette numeri tra il 1° gennaio e il 17 febbraio del 1890; il resto del Requiem fu realizzato tra maggio e luglio. In estate fu approntata la partitura, terminata a Praga il 31 ottobre 1890. La stampa fu subito eseguita dall’editore Novello di Londra.

Il 9 ottobre 1891, il nuovo Requiem, eseguito al Birmingham Musical Festival e diretto da Dvořák, ottenne uno strepitoso successo. Anche le successive riproposte dell’opera in Inghilterra prima e a Praga poi nel 1892 ricevettero la medesima accoglienza da parte del pubblico.
Altrettanto felice riuscita ottenne il Requiem anche quando fu eseguito in America, dove il compositore si trasferì di lì a breve.

Nato per essere eseguito a un Festival musicale, il Requiem è stato concepito con delle particolari caratteristiche. Solitamente, questo genere di composizioni è una testimonianza di fede o una manifestazione di tipo artistico nei confronti della morte.
La messa dei morti di Dvořák, però, non rispecchia nessuna delle due intenzioni, anzi, dalle sue ampie proporzioni e dalla mancanza di un intento commemorativo è evidente che è stata realizzata esclusivamente per essere eseguita nelle sale da concerto.

Questa sua particolarità, rende il Requiem di Dvořák diverso da tutti quelli creati da altri grandi musicisti, quali: Mozart, Berlioz, Verdi e Brahms.
Per questi compositori, a differenza del musicista ceco, il Requiem rappresenta un culmine artistico, religioso, ma anche morale ed estetico. Per Dvořák, invece, questa composizione è una semplice opera d’arte, dove non si avverte né la tragedia della morte e neppure il tentativo di confrontarsi con il suo mistero.
Il musicista ha previsto nella sua composizione una massiccia presenza del coro, mentre per la parte testuale ha scelto di aderire alla convenzione sia per quanto riguarda l’articolazione formale sia per la sistemazione delle singole parti.

Nelle parti più drammatiche, come ad esempio il “Dies irae”, il compositore ha predisposto un sottofondo sonoro di stampo teatrale, impiegando il clangore degli ottoni e delle campane. Anche la linea del canto dei solisti (tenore e basso soprattutto) risente di tale influenza drammatica, in altri momenti più meditativi, il musicista ha previsto invece un più spiccato intimismo.

La tradizione del canto popolare, particolarmente cara al musicista, fa notare la sua presenza in varie sezioni dell’opera, anche se si tratta di semplici suggerimenti e richiami discreti, che non raggiungono l’essenza del tessuto polifonico.
Esiste però un’unica e ben chiara citazione all’interno dell’opera: l’impiego di un antico canto ecclesiastico della tradizione boema, un inno di lode del tardo Medioevo, come tema della grande fuga “Quam olim Abrahae promisisti (n. 10)” che conclude l’Offertorio.

La struttura del Requiem di Dvořák prevede due sezioni principali, ognuna delle quali inizia con un’originale collegamento di varie sequenze liturgiche.
Questa divisione della partitura non produce un’interruzione effettiva, ma serve a evidenziare il passaggio dalla sfera del dolore e della paura a quella della consolazione e della speranza.
Nella prima parte troviamo tre sezioni: Requiem aeternam, Graduale, Dies Irae, per un totale di otto numeri; la seconda parte è invece costituita di quattro sezioni, per un totale di cinque numeri.

Il Requiem di Dvořák si distingue innanzitutto per il ruolo del coro che, come già accennato, è il protagonista dell’intera composizione e il musicista lo ha impiegato più in chiave omofonica che polifonica. Inoltre, i quattro solisti sono quasi sempre in combinazione col coro e in tutta l’opera si avverte una certa compattezza sia in ambito vocale sia per quanto riguarda l’orchestra, anche essa sonoramente piena e coesa.

Struttura del Requiem:
Introitus, Kyrie: Requiem Aeternam: Poco lento (Quartetto e coro)
Graduale: Requiem Aeternam: Andante (Soprano solo e coro)
Sequentia: Dies irae: Allegro impetuoso (Coro)
Sequentia: Tuba mirum: Moderato (Quartetto e coro)
Sequentia: Quid sum miser: Lento (Quartetto e coro)
Sequentia: Recordare: Andante (Quartetto)
Sequentia: Confutatis maledictis: Moderato maestoso (Coro)
Sequentia: Lacrimosa: Poco meno mosso (Quartetto e coro)
Offertorium: Domine Jesu Christe: Andante con moto (Quartetto e coro)
Offertorium: Hostias et preces: Domine Jesu Christe, Rex: Andante (Quartetto e coro)
Sanctus: Sanctus benedictus: Andante maestoso (Quartetto e coro)
Sequentia: Pie Jesu: Poco adagio (Quartetto e coro)
Agnus Dei: Agnus Dei: Lento (Quartetto e coro)

Organico:
voci soliste (soprano, contralto, tenore, basso) coro misto, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, contro fagotto, 4 corni, 4 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, tam tam, organo, archi

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