La tragedia è una tra le forme più antiche di teatro. Possiede tono e stile elevato, uno svolgimento e una conclusione imperniati su fatti funesti e violenti, su disgrazie e molteplici sciagure.
La parola tragedia (τραγῳδία) è un termine attico (dialetto greco dell’antica città-stato di Atene), la sua origine è incerta; è composto da due elementi “canto” (ᾠδή) e “capro” (τράγος), dalla loro combinazione si sono individuati diversi significati: canto per il capro (nelle gare, il vincitore otteneva come premio un capro) o canto dei capri (i coreuti portavano maschere con sembianze caprine).
Le origini della tragedia sono quasi sicuramente da ricercare nella tradizione poetica e religiosa della Grecia antica.
Aristotele sosteneva che la tragedia derivava dal ditirambo (antica forma di poesia lirica corale greca legata ai suoi esordi al culto di Dioniso) e nella Poetica la definisce come: un’ “imitazione di un’azione seria e compiuta in se stessa, che abbia una certa ampiezza, un linguaggio ornato in proporzione diversa a seconda delle diverse parti, si svolga a mezzo di personaggi che agiscano sulla scena e non narrino”.
La tragedia, così come era stata concepita da Eschilo, Sofocle ed Euripide era strutturata in una serie di episodi recitati, alternati a cori. All’inizio c’era un prologo recitato e un canto del coro (pàrodos) alla fine un canto di uscita sempre del coro (èxodos). In pratica, era uno spettacolo complesso, una mescolanza di recitazione, musica, canto e danza.
Alle origini il coro era composto di dodici (in seguito quindici) persone. I coreuti dovevano cantare delle parti specifiche (stasimi) e confrontarsi con gli attori che avevano parti recitate (episodi).
Successivamente, gli attori acquistano un’importanza maggiore, a discapito del coro che vede diminuiti sensibilmente i suoi spazi di intervento.
Le rappresentazioni tragiche erano organizzate dallo Stato e avevano carattere sacro. Occasione per la loro messa in scena erano le feste dedicate a Dioniso.
La sacralità della tragedia è dovuta sia al legame che ha sempre avuto con la musica e la danza sia alle tendenze dei poeti che si ritenevano maestri di vita religiosa e morale. Inoltre, nei cori si dibattevano i grandi tempi legati alla coscienza umana: colpevolezza e innocenza, infelicità dell’uomo, giustizia degli dei.
Gli argomenti della tragedia spaziavano dal mito eroico (poemi omerici e ciclici) a tematiche non mitiche, in ogni caso, erano sempre argomenti elevati: grandi sventure e glorie nazionali.
Gli spettatori seguivano le tragedie non per l’argomento, che era già noto, ma per l’arte con cui il poeta aveva narrato i fatti, per la bellezza del suo stile, della musica e della danza.
La tragedia ha un tempo tutto suo: il presente assoluto, rappresentato dalla messa in scena teatrale.
In questo tempo è possibile si verifichi qualsiasi evento inaspettato, come accade nella vita di ogni giorno, ma la tragedia greca vive anche la contraddizione tra il presente scenico e il passato del mito, nel primo vige l’indeterminatezza, nel secondo ogni scelta è già stata fatta.
I grandi drammaturghi greci avevano una loro visione della tragedia: per Eschilo rappresentava il rapporto tra umanità e divinità; per Sofocle raffigurava il dolore e l’infelicità dell’uomo che non si assoggetta ai compromessi; per Euripide serviva a mostrare il ruolo dell’irrazionale, dei sentimenti e della passione.
I Romani riprendono la tragedia greca, però, la adattano alla loro cultura e al loro tempo.
Importanti autori sono: Livio Andronico, Ennio, Nevio, Lucio Anneo Seneca, Pacuvio e Accio.
Gli argomenti di queste tragedie sono molteplici, ma l’eroico greco resta dominante, si afferma anche lo storico e il leggendario.
Restano poche opere del teatro tragico latino e sono destinate alla lettura non alla rappresentazione teatrale.
In epoca cristiana i temi tragici classici vengono piegati da alcuni monaci a una funzione apologetica e di conversione. Nel medioevo, invece, si assiste a un notevole numero di rappresentazioni di argomento sacro ed edificante, lontane però dalla tragedia.
In epoca rinascimentale e post-rinascimentale prende voga la rappresentazione di gesta di un particolare personaggio, rappresentabili sulla scena oppure trasferite in una narrazione letteraria.
Nel XVI secolo si assiste alla fioritura del teatro spagnolo che durerà per tutto il secolo successivo (J. de Mal-Lara, M. de Cervantes Saavedra, Lope de Vega, D. Jiménez Enciso, Tirso de Molina, P. Calderón de la Barca).
In Inghilterra, nel periodo aureo del teatro inglese, le tematiche della tragedia spaziano dalla vendetta alla follia simulata, dal soprannaturale all’esotico.
Marlowe crea i primi grandi personaggi del teatro inglese e introduce la prosa. Altri autori famosi sono W. Shakespeare, B. Johnson, R. Greene, J. Marston e diversi altri.
Anche in Francia, il XVII secolo vede fiorire il teatro come forma più elevata dell’espressione letteraria. Le tematiche francesi rispecchiano la fase storica e culturale del periodo che predilige logica e razionalità. Tra gli autori: P. Corneille, J. Racine, P. Quinault.
Nel Seicento, in Italia, oltre ai modelli classici si impongono autori europei nuovi; c’è anche il teatro gesuitico che tenta di immettere un interesse religioso nuovo. La tragedia nazionale è portata avanti da autori, quali: A. Conti, S. Maffei, V. Alfieri.
Nel XVIII secolo, ci sono ancora grandi personalità: J.W. Goethe (“Iphigenia auf Tauris”), U. Foscolo (“Tieste”, “Aiace”), F. Schiller (“Die Braut von Messina”), P.B. Shelley (“I Cenci”).
Nel XX secolo, G. D’Annunzio sostiene un ritorno alle forme auliche del teatro classico (“Fedra”), mentre molti altri autori tentano di inserire temi tragici nel costume contemporaneo: da H. von Hofmannsthal (“Elektra”, “Ödipus und die Sphinx”) ad A. Gide (“Saül”, “Perséphone”), da J. Cocteau a E. O’Neill, da A. Artaud a T. Eliot e J.-P. Sartre.
La tragedia è un genere che ha avuto molta fortuna, subendo nel tempo molti cambiamenti.
Nel corso dei secoli, ha mantenuto un legame con le forme classiche antiche e con le tematiche del mito, ma ha anche dato vita a forme nuove e singolari.
Ha generato proficue commistioni come l’opera lirica che tra i suoi argomenti comprende la mitologia e mantiene lo spirito eroico e aulico, lontano dalla quotidianità, tipico di questo genere. Inoltre, attraverso l’opera, si è attuato un ulteriore, anche se diverso, ritorno all’antico, con la presenza del coro e in certi casi delle danze.
In copertina: Edwin Austin Abbey. King Lear, Act I, Scene I (Cordelia’s Farewell, Addio di Cordelia) Metropolitan Museum of Art (1897-1898) olio su tela