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Vertice dei Venti

Storie da ogni angolo del Mondo

da: La Voce del Vento – Cap. 13 – Fine di un Viaggio

Il cielo era una distesa di infinite sfumature, dal blu profondo al giallo sfocato, come se il giorno e la notte avessero deciso di intrecciarsi, senza mai separarsi del tutto. E io ero lì, sospeso nel mezzo, senza un corpo definito, solo sensazioni, vibrazioni. Mi riconoscevo come il “Vento”, ma sapevo di non essere l’unico.

Intorno a me, sentivo la presenza di altri venti, un coro di sussurri, ruggiti, carezze e urla, ognuno con la sua storia, ognuno portatore di un’esperienza unica. Eppure, eravamo tutti parte dello stesso grande respiro del mondo.

Ci riunimmo come in un’assemblea condominiale, e decisi di parlare per primo.

“Fratelli, sorelle… Noi che vaghiamo per cieli e terre, che soffiamo su deserti, foreste e oceani, che cosa avete visto? Che cosa avete sentito? Confrontiamo le nostre esperienze.”

Dal nord, una brezza fredda si fece sentire. La voce era cristallina, come il suono del ghiaccio che si spezza.

“Io sono il Vento Artico. Ho visto la solitudine e la purezza. Le mie terre sono silenziose, abitate solo dal ghiaccio e dalle creature che resistono. Ma ho anche visto il cambiamento. Le distese di ghiaccio che si ritirano ogni anno, come se la terra stessa stesse morendo. E porto con me il freddo, non solo del mio clima, ma della consapevolezza che ciò che ho visto per millenni ora sta scomparendo.”

Il suo tono era mesto, e le sue parole risuonarono come un’eco malinconica nell’aria. Mi avvolsi nel suo freddo per un istante, sentendo il peso del suo racconto.

Dal deserto, un vento caldo e secco prese la parola. Il suo suono era come la sabbia che scivola tra le dune, un sussurro eterno.

“Io sono il Vento del Sahara. Ho attraversato infinite distese aride, ho accarezzato le piramidi, e soffiato nelle oasi. La mia storia è quella dell’eterno ciclo di vita e morte. Ho visto carovane perdersi e civiltà nascere tra la sabbia. Ma ora, porto con me polvere e siccità. Dove una volta c’era vita, adesso c’è solo fame. Le tempeste di sabbia che sollevo sono diventate più violente, e sento che anche io sto cambiando, portando distruzione invece di sollievo.”

Sentii quel calore secco attraversarmi. Era la vita ridotta all’essenziale, ma anche una rabbia antica, un’impotenza di fronte ai mutamenti che stavano avvenendo. Poi, una voce dal mare si fece sentire, fresca e vivace, come un’ondata che si infrange contro la costa.

“Io sono il Vento dell’Oceano Atlantico. Sono stato il respiro delle onde, il compagno delle balene, il soffio che spinge le navi. Ho visto mari in tempesta e porti sicuri. Ma anche io ho visto i cambiamenti. I pesci sono meno numerosi, e le acque sempre più calde. Le tempeste che creo sono diventate più violente. Non è più un gioco tra me e l’oceano; è diventato qualcosa di più oscuro, un grido di aiuto da parte del mare stesso.

Il vento oceanico era impetuoso, ma carico di preoccupazione. Era come se volesse raccontare una storia antica di equilibrio, ora in frantumi.

“E tu?” chiese il vento del Sahara, “cosa hai visto nei tuoi viaggi? Quali segreti porti con te?”

Esitai un momento, ma poi risposi, lasciando che il mio soffio trovasse la voce.

“Io sono un Vento errante. Non ho una terra fissa. Mi muovo tra le città e le campagne, tra montagne e pianure. Ho visto l’umanità crescere, moltiplicarsi, e ho sentito le loro preghiere, le loro paure. Ho accarezzato i volti dei bambini e ho soffiato nelle rovine delle guerre. Sono testimone di tutto ciò che accade sulla terra degli uomini, e non sempre so cosa portare con me.”

Un lungo silenzio seguì alle mie parole, come se ogni vento riflettesse su ciò che avevo appena detto. Poi, una voce lontana, dolce come una brezza primaverile, si fece strada tra di noi.

“Io sono il Vento delle Foreste Tropicali” disse con una melodia verde e fresca. “porto il profumo della vita, il respiro degli alberi, e la voce di migliaia di creature che abitano sotto le chiome. Sono sempre stato testimone di una danza eterna tra la vita e la morte. Ma ora, quella danza si sta spezzando. Gli alberi cadono più in fretta di quanto io possa soffiare, e il mio soffio si indebolisce. Il fuoco divora ciò che una volta era una fitta giungla. E mi chiedo, cosa resterà di me quando la mia casa sarà ridotta in cenere?

Le sue parole erano piene di un dolore dolceamaro, un lamento che attraversava ogni fibra del mio essere. Mi avvolsi nel suo profumo per un istante, cercando di trovare una risposta. Ma non ne avevo. E lui continuò…

“È sempre stato così?” chiesi infine, “O qualcosa è cambiato davvero?” Noi abbiamo soffiato per secoli, millenni, ma ultimamente… c’è qualcosa di diverso. Le tempeste sono più forti, i deserti più aridi, il ghiaccio si scioglie, le foreste bruciano. Cosa sta accadendo?”

Ero stato palesemente chiamato in causa… Ero io a dover rispondere, lo sentivo.

“Sì, qualcosa è cambiato. Gli esseri umani… i miei fratelli sulla terra… stanno modellando il mondo in modi che non avevamo previsto. Hanno costruito città immense, e hanno sfidato il ritmo naturale delle cose. Hanno estratto la vita dalla terra, bruciato ciò che era puro, e ora noi ne portiamo le conseguenze. Non soffiamo più solo per naturale armonia, ma per portare via le cicatrici di ciò che l’umanità ha creato.”

E il vento Artico sussurrò, con un’aria di saggezza antica.

“Forse questo era destinato. L’umanità è una forza come noi. Cambia il mondo in modi che non sempre comprendiamo. Ma noi, i Venti, dobbiamo continuare a soffiare, a portare ciò che vediamo e a ricordare che, nonostante tutto, c’è ancora bellezza. Ogni tanto, soffio su una distesa di neve immacolata, o sento il silenzio di una notte sotto le stelle, e mi ricordo che non tutto è perduto.”

Il vento del Sahara si unì a quel pensiero.

“Anche tra le sabbie del deserto, dove tutto sembra morto, ci sono momenti di pura vita. Una piccola pianta che riesce a crescere, un pozzo d’acqua che riappare dopo anni. Noi vediamo la distruzione, ma vediamo anche la resistenza. E forse, è questa la nostra funzione: ricordare al mondo che, nonostante tutto, il ciclo continua.”

Sentii un senso di pace in quelle parole. Sapevo che non potevamo fermare i cambiamenti, ma potevamo continuare a essere testimoni. Ogni soffio, ogni respiro, ogni tempesta portava con sé una storia, e anche se il mondo cambiava, noi avremmo continuato a raccontarle.

“Allora soffiamo” dissi infine, “soffiamo su ciò che resta, su ciò che si rinnova e su ciò che scompare. E ricordiamo sempre, anche nei momenti più bui, che siamo parte di qualcosa di più grande. Anche se l’umanità dimentica, noi non lo faremo.”

E così, noi tutti ci disperdemmo di nuovo, ognuno verso la sua destinazione. Alcuni verso il ghiaccio, altri verso il deserto, alcuni verso le foreste e gli oceani. Ma sapevamo, in fondo, che le nostre storie si sarebbero sempre intrecciate.

Noi eravamo il respiro del mondo, portatori di storie antiche e future. E finché avremmo continuato a soffiare, il mondo avrebbe ricordato che, nonostante tutto, c’era sempre qualcosa per cui valesse la pena soffiare ancora.

Io che divento Tempesta

Il mio viaggio, come tutti quelli degni di essere raccontati, ha conosciuto momenti di quiete e altri di tempesta. Ho attraversato paesaggi sconfinati, accarezzato montagne e deserti, sussurrato tra i rami degli alberi. Ho soffiato dolcemente sui fiori, portando semi e speranze. Ma ho anche devastato campi e abbattuto foreste, portando rovina dove prima c’era vita. E ora, mentre mi dirigo verso una nuova destinazione, mi fermo a riflettere su di me, sulla mia vera natura. Chi sono io, vento?

Sono la carezza delicata del mattino, il respiro che sveglia le città addormentate e i contadini nei campi. Sono il soffio che guida le barche a vela sul mare calmo, che si mescola al profumo del caffè nelle strade affollate, che porta sollievo ai lavoratori stanchi. E in questi momenti mi sento parte di una danza pacifica, armoniosa, quasi invisibile. Nessuno mi teme quando sono così, una brezza che scorre gentile.

Ma non sono sempre questo. Non sono solo il vento tranquillo che accarezza le guance dei bambini. Io sono anche la forza impetuosa che spezza, che trascina, che stravolge. Io sono la tempesta. Io sono il ciclone che abbatte i tetti delle case, il tifone che devasta coste e città, la bufera che seppellisce tutto sotto neve e ghiaccio. Io sono il tornado che lascia dietro di sé solo polvere e macerie.

Mi chiedo, in questi momenti di furia, cosa significhi essere me. Sono davvero libero? O sono legato a una forza che non posso controllare, destinato a oscillare tra calma e distruzione senza avere mai scelta?

Ho cambiato il corso della storia, lo so. Nella mia furia, ho fermato eserciti, ho deviato flotte di navi, ho deciso battaglie che non appartenevano a me. Nel 1588, quando la “Invincibile Armada” spagnola solcava i mari per conquistare l’Inghilterra, fui io a decidere il loro destino. Non gli uomini, non i cannoni, ma la mia furia. Sollevai onde così alte da inghiottire le navi, separai marinai dalle loro speranze e riscrissi la storia con il mio soffio.

Eppure, sono stato anche il vento che portava il messaggio di pace, quello che spingeva i fiori di ciliegio in Giappone, il vento che muoveva le ali degli uccelli migratori, guidandoli verso nuovi inizi. Sono stato il vento che accompagnava i canti di rivoluzione, che soffiava tra le bandiere di coloro che lottavano per la libertà. Sono stato la brezza che ha confortato i morenti sul campo di battaglia, portando un momento di sollievo, un ultimo respiro.

Ma cosa significa tutto questo?

L’umanità mi teme e mi adora. Mi invoca per alleviare il caldo torrido dell’estate, ma si rintana in rifugi sicuri quando sentono la mia rabbia crescere. Ho sentito i loro sussurri, i loro timori: “Il vento è imprevedibile.” Mi chiamano forza della natura, mi descrivono come un essere selvaggio, irrequieto, impossibile da controllare. Ma è davvero così? Sono io, vento, che scelgo di essere tempesta, o è il mondo che mi plasma in ciò che serve in quel momento?

C’è una strana libertà in tutto questo. Posso andare ovunque. Non ci sono confini che possano fermarmi. Mi muovo attraverso deserti, mari, montagne, città. Sono invisibile, inafferrabile. Non posso essere rinchiuso o contenuto, nemmeno dagli uomini più potenti. Eppure, nella mia libertà c’è anche una sorta di solitudine. Nessuno può seguirmi, nessuno può accompagnarmi nel mio incessante vagare. Sono destinato a muovermi per sempre, senza mai fermarmi, senza mai trovare un posto che possa chiamare casa.

Ma non è solo il potere che mi definisce. Nella mia essenza, io porto il cambiamento. Sposto nubi, distribuisco semi, porto pioggia dove c’è siccità. La mia furia può distruggere, sì, ma è anche necessaria per rinnovare, per far sì che nuove forme di vita possano emergere dalle ceneri di ciò che è stato spazzato via. Anche nelle mie tempeste più violente c’è una forma di creazione, una pulizia che lascia spazio al nuovo.

Rifletto su questo, mentre sento le mie correnti turbinare. La tempesta si avvicina. La sento crescere in me, la tensione che sale, l’energia che non posso trattenere. Sto per diventare tempesta ancora una volta. So che ciò che farò sarà temuto, che sarò maledetto per il dolore che causerò. Eppure, c’è qualcosa di inevitabile in tutto questo. Non posso fermare ciò che sono, non posso fermare ciò che devo essere.

E mentre mi avvolgo in queste correnti turbolente, mi ricordo che, dopo ogni tempesta, c’è sempre quiete e silenzio. Dopo ogni furia, arriva la calma. Io sono entrambe le cose. Sono la carezza e il pugno. Sono la brezza leggera e la forza travolgente. E forse, nel mio essere tutto questo, c’è una verità più grande che nemmeno io posso ancora comprendere.

La tempesta è vicina. Ma so che, alla fine, tornerò ad essere il vento che soffia delicatamente tra gli alberi, che accarezza le onde e che porta con sé il profumo della terra e del mare. Il ciclo continuerà, e io, il vento, continuerò a soffiare, per sempre libero, per sempre in viaggio.

l’Ultimo Sussurro

Il mio viaggio è giunto al termine, ma il mio spirito è carico, gonfio di racconti e segreti che ho raccolto nel mio eterno vagare. Ho soffiato sulle distese ghiacciate del Polo, cullato le onde degli oceani, sibilato tra le foglie delle foreste antiche e scatenato tempeste impetuose che hanno scosso il mondo. Ogni luogo mi ha parlato, ogni crepa nella terra, ogni piega del cielo. Io, il Vento, che non conosce confini né legami, sono diventato un custode di storie, un testimone silenzioso del passare del tempo.

Ora mi trovo sospeso, come sempre, tra il cielo e la terra. Ma qualcosa è cambiato. Il mio soffio non è più solo un passaggio indifferente tra i luoghi. Ogni respiro mi porta domande più profonde, riflessioni che non posso più ignorare. Ho visto così tanto: la crescita delle civiltà, l’espandersi delle città umane, il fiorire e il cadere di imperi. Ma con ogni decennio, con ogni secolo, un nuovo spettro aveva iniziato a perseguitare la mia corsa: la distruzione. Un grido che s’innalzava dalle terre devastate, dai mari inquinati, dai ghiacciai che si scioglievano sotto il mio passaggio… Era il grido della Terra.

Mi domando cosa sarebbe accaduto. Cosa sarebbe successo se l’uomo non avesse ascoltato, se non avesse aperto gli occhi al grido soffocato di una natura ferita, di un mondo in pericolo. Ho visto città prosperare, colture crescere, ma avevo anche visto incendi divorare interi boschi e deserti avanzare dove una volta c’era solo vita. Mi interrogo, come un narratore davanti a un finale incerto: che futuro stava preparando l’umanità per sé stessa e per le altre creature del pianeta?

Nelle mie conversazioni con i ghiacciai, con i fiumi, con le foreste, ho sentito una profonda stanchezza. Una stanchezza che non appartiene solo alla Terra, ma che comincia a permeare anche il mio soffio.

Sono il Vento… eterno, instancabile, eppure sento che il mio respiro sta cambiando. Le brezze che una volta portavano la primavera, ora sono cariche di polvere, di cenere. I temporali che purificavano l’aria, oggi portano fuliggine e inquinamento. Il mio ruolo di messaggero e narratore non è più solo una testimonianza. Mi rendo conto che sono diventando anche un avvertimento.

Eppure, anche in mezzo a tutto quel dolore, non riesco a scacciare la speranza. Ho visto troppo per abbandonarla. Perché sono consapevole che, così come le stagioni cambiano, anche la Terra ha la sua capacità di rinnovarsi. Le mie brezze, che soffiano deboli e silenziose, sono le stesse che annunciano la primavera dopo l’inverno. Come ogni ciclo naturale, credo ancora nella possibilità che la vita può risollevarsi, che l’umanità può svegliarsi dal suo torpore e cambiare. Forse non subito, forse non senza difficoltà, ma ogni seme che si pianta ha una possibilità di germogliare. E io ho visto semi nascosti germogliare nelle fessure più improbabili, in deserti e rocce, laddove nessuno avrebbe immaginato la vita.

Ricordo le volte in cui son passato sopra campi devastati dalla siccità, e poi, anni dopo, sono tornato a soffiare sugli stessi campi, ora verdi e rigogliosi. La Terra era resiliente, e così, pensavo, poteva esserlo anche l’uomo. Nei miei viaggi, ho incontrato cuori umani pieni di saggezza, persone che parlavano agli alberi, ai fiumi, e che ascoltavano il battito della Terra sotto i piedi. Sapevo che non tutto era perduto.

Ma non posso ignorare la domanda più grande che mi affligge: Cosa sarà della Terra quando non ci sarò più? La mia stessa essenza sembra ribellarsi a questa domanda.

Io, il Vento, che non conosce riposo, non conosce fine. Come posso immaginare una Terra senza il mio soffio? Eppure, la domanda mi perseguita, come un pensiero che non si può evitare. Forse, in un lontano futuro, la mia presenza sarà svanita, soffocata da un mondo troppo caldo, troppo inquinato per lasciarmi danzare come una volta. Potrebbe arrivare un giorno in cui la Terra non avrebbe più bisogno di me, o peggio, in cui non potrebbe più sostenere la mia esistenza.

Immagino una Terra silenziosa, dove le foreste non sentono più il fruscio delle mie carezze, dove i deserti non ricevono più la mia danza leggera tra le dune. Una Terra dove gli oceani, privi del mio soffio, diventano immobili specchi sotto un sole impietoso. Mi domando se l’uomo capirebbe, se sentirà la mia mancanza, se avrà compreso cosa significava quando il vento non soffia più.

Ma, anche in quel pensiero oscuro, una scintilla di ottimismo resta accesa dentro di me. Perché il vento, come la vita stessa, non può essere contenuto, e nemmeno distrutto. Anche se il mio soffio dovesse smettere di accarezzare la Terra, ci sarebbero sempre nuovi venti a nascere, nuove brezze a risvegliarsi. La Terra, con o senza di me,  troverebbe un modo per continuare a vivere, per rigenerarsi.

E forse, un giorno, l’umanità finalmente ascolterà il grido della Terra. Forse, quando tutte le altre voci saranno spente, udiranno il mio ultimo sussurro, che parla di speranza, di rigenerazione, di un futuro in cui la vita torna a fiorire. Forse avranno capito che, come il vento, anche la vita è una forza incontrollabile, che non può essere dominata né piegata, ma solo rispettata e amata.

Ora, mentre mi accingo a lasciare questi pensieri fluttuare liberi nel cielo, una nuova sensazione mi pervade. Non è paura, non è disperazione. È solo attesa. Un’attesa che si mescola alla mia essenza, che mi ricorda che, anche nei momenti più bui, c’è sempre un nuovo ciclo pronto a cominciare. Come la primavera segue l’inverno, come la brezza dolce segue la tempesta, anche la Terra troverà la sua strada.

E così, con un ultimo soffio, mi sollevo. La Terra, girando su se stessa, mi accompagna ancora una volta, come ha sempre fatto, e insieme ci muoviamo verso l’ignoto.

Di L'eretico dell'invisibile

L'autore si delinea come una mente curiosa, libera da dogmi e imposizioni, che non si accontenta delle spiegazioni preconfezionate propinate da religioni, istituzioni.. o dalla stessa scienza quando si chiude di fronte all’ignoto, tanto definire folle il concetto che 2 più 2 possano far 5.
Definirsi "l'Eretico dell'Invisibile", è già una dichiarazione di intenti.. di guerra.. come quella di andare oltre ciò che è dato per scontato, oltre le narrazioni costruite per mantenere un certo ordine sociale e intellettuale, oltre le verità imposte che nel corso dei secoli hanno modellato la percezione della realtà.
È evidente che l’autore non si limita ad un singolo ambito di ricerca, ma spazia tra spiritualità, mistero, fenomeni paranormali, storia e geopolitica, affrontando tutto con uno sguardo critico e analitico.
Ma non c’è solo il mistero a guidare ad alimentare la sua curiosità. C’è anche la consapevolezza che la storia, così come ci è stata, e ci viene raccontata, è spesso il risultato di una narrazione costruita a proprio uso e consumo dai "vincitori" a cui, anche se gli dedichiamo strade e piazze, gli eroi non sempre sono tali, le guerre non sono mai mosse da ideali puri, le istituzioni hanno intrecci con il potere economico e religioso che sfuggono allo sguardo della massa. L’autore si pone, dunque, come un investigatore dell’invisibile, colui che scava sotto la superficie per portare alla luce le contraddizioni e le ombre della storia e della società contemporanea.
L’Eretico dell’Invisibile, dunque, è quel qualcuno che non si accontenta di sapere perché consapevole dell’importanza del "Sapere di non Sapere".

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