Categorie
Cultura letteratura poesia riflessioni

“Solo la morte”: fragilità umana e vuoto diventano poesia

In questo periodo, in cui il Covid ha messo a nudo tutte le nostre fragilità e ci ha privato della presenza di molti dei nostri cari, la poesia “Solo la morte” di Pablo Neruda (1904 – 1973) mi sembra riassumere e rappresentare in modo adeguato il volto stravolto di questi tempi.

In questo periodo, in cui il Covid ha messo a nudo tutte le nostre fragilità e ci ha privato della presenza di molti dei nostri cari, la poesia “Solo la morte” di Pablo Neruda (1904 – 1973) mi sembra riassumere e rappresentare in modo adeguato il volto stravolto di questi tempi.

Solo la morte

Vi sono cimiteri solitari,
tombe piene d’ossa senza suono,
se il cuore passa da una galleria
buia, buia, buia,
come in un naufragio dentro di noi moriamo
come annegando nel cuore
come scivolando dalla pelle all’anima.

Ci sono cadaveri
e piedi di viscida argilla fredda,
c’è la morte nelle ossa,
come un suono puro,
come un latrato senza cane,
che viene da campane, da tombe,
che all’umido cresce come pianto o pioggia

A volte vedo solo bare a vela/salpare con pallidi defunti, con donne dalle trecce morte
con panettieri bianchi come angeli,
con fanciulle assorte spose di notai,
bare che salgono il fiume verticale dei morti,
il fiume livido
in su con le vele gonfiate dal suono verticale della morte.
La morte arriva a risuonare
come una scarpa senza piede, un vestito senza uomo,
riesce a bussare come un anello senza pietra né dito,
riesce a gridare senza bocca, né lingua, né gola.

La morte sta sulle brande;
sui materassi che affondano, sulle coltri nere
vive distesa, e all’improvviso soffia:
soffia un suono oscuro che gonfia le lenzuola;
e ci sono letti che navigano verso un porto
dove sta in attesa vestita da ammiraglio
.

Questa poesia è piena di richiami, di parole suggestive che suggeriscono pensieri e suscitano forti emozioni. Le “ossa senza suono” dei morti; la morte che è come un annegamento che il cuore subisce, passando attraverso un buio profondo, per poi scivolare “dalla pelle all’anima”.

La morte descritta da Neruda provoca brividi di freddo e di terrore (“Ci sono cadaveri e piedi di viscida argilla fredda, c’è la morte nelle ossa”) e sembra essere dovunque, nelle strane allucinazioni che trasfigurano le persone, nell’assurda e spettrale mescolanza tra vita e morte, tra sogno e realtà: “bare a vela” su cui salpano “pallidi defunti, con donne dalle trecce morte”, “panettieri bianchi come angeli”, “fanciulle assorte spose di notai”, “bare che salgono il fiume verticale dei morti”.

La morte è però anche vuoto, assenza tragica, perché si accosta a immagini che appartengono al quotidiano: il “latrato senza cane”, la “scarpa senza piede”, il “vestito senza uomo”.
Forse perché la morte, per chi resta, è proprio questo: un vuoto incolmabile rivestito di ricordo. Ricordo che si manifesta negli oggetti che restano e che “risuonano” ma che sono gusci vuoti, privi di vita: chi li usava non c’è più.

La morte sembra colmare di vuoto oltre agli oggetti anche i gesti (“riesce a bussare come un anello senza pietra né dito”, “riesce a gridare senza bocca, né lingua, né gola”), gesti che mancano dell’elemento fondamentale: la mano, il dito, la bocca.

Infine, la morte attende, attende con infinita pazienza, “sta sulle brande, sui materassi che affondano, sulle coltri nere”, dove “vive distesa” e poi, all’improvviso “soffia un suono oscuro che gonfia le lenzuola” e trascina via “letti che navigano”, nella sua inesorabile corrente, “verso un porto dove sta in attesa vestita da ammiraglio”.

In copertina: Andrea Mantegna “Cristo morto” (Milano, Pinacoteca di Brera)

Pinterest
Pinterest
fb-share-icon
LinkedIn
LinkedIn
Share
Instagram