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Se la morte smettesse di ammazzare? La singolare ipotesi di Saramago

Sono molte le storie dove la morte è la protagonista o comunque, possiede un ruolo di rilievo. Una di queste è “Le intermittenze della morte” di José de Sousa Saramago (1922-2010; scrittore, giornalista, drammaturgo, poeta, critico letterario e traduttore portoghese).

Sono molte le storie dove la morte è la protagonista o comunque, possiede un ruolo di rilievo. Una di queste è “Le intermittenze della morte” di José de Sousa Saramago (1922-2010; scrittore, giornalista, drammaturgo, poeta, critico letterario e traduttore portoghese).

La storia di Saramago inizia con un davvero singolare “se” e cioè, se a un tratto, in un Paese immaginario, scoccata la mezzanotte e giunto il nuovo giorno, la gente non morisse più?
Che cosa accadrebbe?

Di primo acchito, quasi nulla, almeno secondo il racconto di Saramago, a parte una forte sorpresa e anche un certo sollievo. Ben presto, però, iniziano i problemi e le prime reazioni, piuttosto decise da alcuni specifici gruppi.

Le prime sentite lamentele e richieste di presa di posizione da parte del governo giungono da una categoria, chiaramente lesa da questo singolare avvenimento: le onoranze funebri.
Come c’era da aspettarsi, i primi e formali reclami vennero dalle imprese degli affari funerari. Bruscamente sforniti della loro materia prima, i proprietari cominciarono col fare il classico gesto di portarsi le mani alla testa, gemendo come in un coro di prefiche, E ora che ne sarà di noi, ma subito dopo, davanti alla prospettiva di un catastrofico fallimento che non avrebbe risparmiato nessuno della funerea cerchia, convocarono l’assemblea generale della categoria, al termine della quale, dopo accalorate discussioni, tutte quante improduttive perché tutte, senza eccezione, andavano a cozzare contro il muro indistruttibile della mancanza di collaborazione della morte, quella morte cui si erano abituati, di padre in figlio, come qualcosa che era loro dovuto per natura, approvarono un documento da sottoporre alla considerazione del governo della nazione, il quale documento adottava l’unica proposta costruttiva, sì, costruttiva, ma anche esilarante…” (José Saramago “Le intermittenze della morte”, Feltrinelli Editore, 2013).

Subito appresso, a lamentarsi fu la Chiesa che vedeva nel perdurare di tale situazione, il crollo dell’idea stessa del cristianesimo: niente morte, niente resurrezione, né un altro mondo a cui fare riferimento.
E non solo il cristianesimo sarebbe stato a corto di idee: tutte le religioni, chi più chi meno doveva fare i conti con questa nuova realtà.

I successivi problemi sono di ordine sociale, la gente non muore più, per cui, persone in fin di vita o comunque vicine al trapasso, restano sospese nella loro precaria condizione, a tempo indeterminato, gravando sugli ospedali, sugli ospizi e sulle famiglie che si ritrovano a dover accudire per l’eternità malati e anziani in casa propria.

Mentre il coro di proteste aumenta c’è chi già pensa a una soluzione. Nei paesi vicini a quello “graziato”, la morte continua a sollevare la sua falce, senza dare segni di cedimento, e c’è chi inizia a pensare che il problema si possa risolvere facilmente: varcando la frontiera.

La “maphia” (Saramago la chiama così) non perde tempo, tutto può diventare una macchina per fare soldi, anche una situazione al limite come questa, e dalle sua presa di posizione, tutti trarranno benefici: il governo non deve fare più fronte a impossibili richieste, passi che deve chiudere un occhio su manovre non troppo legali; la gente, che era costretta a occuparsi dei propri cari moribondi per l’eternità, tira un sospiro di sollievo; le onoranze funebri, costrette nei primi tempi a organizzare esclusivamente funerali per animali (che continuano a morire), rientreranno a pieno titolo in servizio.

Se non che… la morte prende una nuova decisione. La sospensione del suo mandato era solo a titolo di esperimento e, con un’inquietante lettera di colore viola – consegnata misteriosamente al direttore generale della televisione – comunicherà le sue nuove disposizioni.

Nella missiva, la morte sostiene che riprenderà il suo lavoro, il giorno successivo alla sua comunicazione.
Il suo era stato un tentativo, “una prova di resistenza”, per mostrare agli esseri umani, che tanto la detestano, quello che può accadere, quando la morte mette a riposo la sua falce.
Considerato che l’esperimento ha avuto esiti incresciosi, sotto tutti i punti di vista: filosofici, morali e sociali, la morte ha deciso di riprendere la sua attività, con buona pace di tutti.

Il genere umano si rimette ben presto in carreggiata, dopo un breve sconcerto iniziale: le onoranze funebri riprendono appieno le loro solite mansioni; la maphia riattiva i suoi lucrosi maneggi; la Chiesa si concede un lungo sospiro di sollievo, proprio come il Governo, sollecitato fino a quel momento a risolvere problemi impossibili; gli ospizi e gli ospedali ritornano alle loro vecchie operatività.

Tutto insomma torna alla normalità di sempre, tranne che per un fatto: la morte, dopo questa esperienza, ha deciso di usare le buone maniere con gli esseri umani e d’ora in poi, avviserà del suo arrivo i diretti interessati, con l’anticipo di una settimana.
Il fatale avviso giungerà in una busta viola. A questo punto, inizia la seconda parte della storia che avrà sviluppi inaspettati e una altrettanto inaspettata risoluzione…

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