La figura della morte ha visto nei secoli, e di cultura in cultura, mutare le sue sembianze e le sue caratteristiche.
La rappresentazione più comune della morte è sicuramente quella di uno scheletro con una falce in mano; di solito vestita con un saio nero o una tunica e coperta da un mantello nero con cappuccio.
Le scene che la vedono protagonista variano: dagli scheletri che ballano con esseri viventi alle diverse danze macabre sino alle raffigurazioni del Giudizio Universale.
Anche i nomi assunti dalla morte sono diversi: Tristo Mietitore, Signora in Nero, Cupo Mietitore.
La personificazione della morte è collegata all’idea di un’entità neutra, né buona né cattiva: il suo ruolo è quello di accompagnatrice delle anime nel regno dei morti.
Nella maggior parte dei casi, la morte è raffigurata in forma maschile, ma in alcune culture ha invece sembianze femminili.
Nella mitologia greca, la personificazione della morte è Tanato che secondo Esiodo (metà VIII secolo a.C.-VII secolo a.C., poeta greco antico) è figlio di Notte e fratello gemello di Ipno (il Sonno). Dotato di un cuore di ferro e viscere di bronzo era raffigurato come un giovane oppure come un vecchio barbuto.
Tanato risiedeva nel Tartaro ed era nemico del genere umano. Tra i suoi attributi c’erano le ali e una torcia capovolta che simboleggiava la vita che si spegne.
In alcune sculture era ritratto con un volto smagrito e gli occhi chiusi, coperto da un velo e con una falce in mano. I Romani lo rappresentavano come un genio alato e lo chiamavano Mors.
Nell’Induismo la divinità della morte è Yama “colui che irrimediabilmente trattiene con sé”; figlio del dio Sole (Sūrya) e definito anche Dharma (Giustizia) e Kala (Tempo).
È rappresentato solitamente come un uomo vestito di rosso con la pelle verde e gli occhi di fuoco, che cavalca un bufalo nero. Nel buddhismo è invece raffigurato come un essere furioso, vestito con pelli di animali e adornato di ossa e teschi; la sua pelle è di colore nero-blu.
Nella tradizione ebraica si parla di angelo della Morte, creato da Dio nel primo giorno. Questo angelo è ricoperto di occhi e stringe una spada da cui gocciola fiele; vive nei cieli ed è dotato di dodici ali. Inoltre, dispone di un mantello nero che gli consente di tramutarsi in tutto ciò che vuole.
Quando un uomo è vicino al trapasso, l’angelo della Morte fa cadere nella sua bocca una goccia di fiele, causandone la morte immediata. A questo punto, l’anima del defunto esce dal corpo attraverso la bocca o la gola. Per evitare che l’anima del moribondo possa fuggire, l’Angelo si posa sulla sua testa.
Secondo l’ebraismo esistono sei Angeli della morte, ciascuno con una specifica funzione.
Gabriele prende le anime dei giovani, Kapziel o Kafziel si occupa delle anime dei re, Mashbir o Meshabber afferra le anime degli animali selvatici, mentre Mashhit, quelle dei bambini; Af prende le anime degli uomini, Hemah quelle degli animali domestici.
Nella tradizione cristiana ci sono due Angeli della Morte: Michele che è buono e Samaele che invece è malvagio.
Nella mitologia giapponese, la morte prende il nome di Enma che comanda lo Yomi (gli Inferi), è una figura simile ad Ade in quanto è lui che decide il destino dei defunti, se possono aspirare al paradiso oppure se sono condannati all’inferno.
Singolare è la figura della morte concepita dalle antiche tribù slave. Secondo le loro credenze, era una donna bellissima, vestita di bianco che teneva in mano un ramoscello di sempreverde, il quale con il suo semplice tocco provocava la morte di una persona.
Ben diversa è l’immagine della morte secondo la mitologia lituana. In questo caso, si tratta di una donna anziana vestita di blu che ha una lingua velenosa e mortale.
La morte ha avuto negli anni anche molte interpretazioni nella cultura di massa: teatrali, cinematografiche, letterarie, compare persino nei videogiochi; il ruolo che occupa è sempre di rilievo, come personaggio principale o come fondamentale co-protagonista.