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Cultura letteratura poesia

Vincenzo Cardarelli e la sua poesia tra passione e compostezza

Solitudine e inquietudine furono le principali cifre dell’esistenza di Vincenzo Cardarelli.
Il poeta del trascorrere delle stagioni e del tempo ha trattato anche il tema della morte, sposa fedele da accogliere con serenità e consapevolezza.

Solitudine e inquietudine furono le principali cifre dell’esistenza di Vincenzo Cardarelli.
Il poeta del trascorrere delle stagioni e del tempo ha trattato anche il tema della morte, sposa fedele da accogliere con serenità e consapevolezza.

Vincenzo Cardarelli (Corneto Tarquinia, 1° maggio 1887 – Roma, 18 giugno 1959), è stato un poeta, scrittore e giornalista italiano.
Figlio illegittimo di un bottegaio di Tarquinia, studiò da autodidatta e girò l’Italia. Dopo essersi allontanato da casa, ad appena diciassette anni, svolse molte professioni diverse, tra cui quella di correttore di bozze all’ “Avanti”, in seguito, divenne redattore e corrispondente de “La Voce” e del “Resto del Carlino”. Successivamente, fondò e diresse “La Ronda” e fu animatore culturale de “Il Tevere”.
Dal 1916, data in cui fu pubblicata la sua prima raccolta di poesie, “Prologhi”, l’attività giornalistica si affiancò alla creazione poetica.

Vincenzo Cardarelli amava profondamente i classici sui quali si era formato autonomamente ed era in grado di scrivere poesie concepite con uno stile cristallino, altrettanto dotate erano le sue prose poetiche che nella forma epistolare raggiungono livelli qualitativi molto elevati.
Fu anche un polemista risoluto impegnato in battaglie culturali, in particolare attraverso le riviste di cui si occupò a vario titolo, riviste che hanno fatto la storia della letteratura italiana.

La sua poesia non è stata mai del tutto compresa, eppure Cardarelli ha dato vita a una originale combinazione tra prosa e poesia, senza ricorrere a effetti espressionistici per dare corpo alla sua ispirazione. Il suo linguaggio resta piano, lineare, quasi al di fuori dal tempo, e affonda le sue salde radici nella lingua dei classici, recuperando nei contenuti la sua lezione più profonda, quando parla delle stagioni, della natura e dell’amore.

Ebbe diversi amici tra gli intellettuali, come Ardengo Soffici, Giovanni Papini, Emilio Cecchi, Giuseppe Ungaretti. Ma l’unica vera amica di tutta la sua vita è stata la solitudine.
Era anche un uomo diffidente, ma appassionato; isolato anche tra gli altri intellettuali, specie quelli più giovani, per le sue abitudini retrò, come quella di passare la vita tra i tavolini dei caffè.
Il dolore che permea le sue liriche è un amalgama fatto di tristezza, angoscia e domande senza risposta che logorano l’anima. Del resto, inquietudine, malinconia e tormento lo hanno accompagnato per tutta la vita e il suo ritorno ai classici ha rappresentato il consolidamento di un appiglio contro la transitorietà dell’esistenza.

Cardarelli affronta con la sua consueta compostezza anche il tema della morte, la sposa fedele dalla quale non intende fuggire, ma vuole guardare in faccia e intende accogliere consapevolmente, come ultima chance dell’esistenza. Il poeta rivolge una preghiera alla morte, quella di non portarlo via all’improvviso, assalendolo alle spalle, ma di manifestarsi da lontano: desidera avere il tempo di congedarsi dal mondo e dalla vita.
Lo schema metrico di “Alla morte” è costituito da endecasillabi e settenari, alternati liberamente, sono presenti anche alcuni versi quinari (1, 14 e 22). Il poeta si avvale in questa lirica di alcune rime e di assonanze interne.

Quello della morte è uno dei temi più sentiti di Cardarelli e in questa poesia, le caratteristiche principali del suo stile trovano completa espressione. Il tono generale è caratterizzato da una dolce fermezza, privo di abbandoni sentimentali, mentre i concetti di vita e morte sono esposti con la sua tipica compostezza formale.

Il linguaggio è fortemente misurato, il poeta si muove su un registro colloquiale e confidenziale, venato di classicità, specie in certi passaggi.
La struttura formale di questa poesia si rifà alla canzone libera leopardiana e ci sono riferimenti a Saba (autore di una lirica Alla morte) e a Baudelaire (sezione “La morte” de “I fiori del male”).

Alla morte

Morire sì,
non essere aggrediti dalla morte.
Morire persuasi
che un siffatto viaggio sia il migliore.
E in quell’ultimo istante essere allegri
come quando si contano i minuti
dell’orologio della stazione
e ognuno vale un secolo.
Poi che la morte è la sposa fedele
che subentra all’amante traditrice,
non vogliamo riceverla da intrusa,
né fuggire con lei.
Troppo volte partimmo
senza commiato!
Sul punto di varcare

in un attimo il tempo,
quando pur la memoria
di noi s’involerà,

lasciaci, o Morte, dire al mondo addio,
concedici ancora un indugio.
L’immane passo non sia
precipitoso.
Al pensier della morte repentina
il sangue mi si gela.
Morte non mi ghermire
ma da lontano annùnciati
e da amica mi prendi
come l’estrema delle mie abitudini.

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