Calvino ci ha lasciato indimenticabili opere letterarie.; il romanzo “Le città invisibili” è una di queste: un curioso excursus di luoghi immaginari, tra i quali è annoverata anche una città dei morti.
Italo Calvino (Santiago de Las Vegas de La Habana, 15 ottobre 1923 – Siena, 19 settembre 1985), scrittore e Intellettuale di grande impegno politico, civile e culturale. È annoverato tra i narratori italiani più importanti del secondo Novecento.
Calvino ha seguito varie tendenze letterarie, come il Neorealismo e il Postmoderno, ma al contempo, ha mantenuto un suo coerente percorso personale.
La sua opera, in generale, manifesta una sorta di contraddittorietà superficiale, per la varietà di atteggiamenti letterari assunti di volta in volta dallo scrittore, ma contemporaneamente, si avverte un’unitarietà di fondo che si appoggia a un razionalismo metodologico, venato di ironia e supportato da un interesse per le scienze, mentre la sua scrittura resta, negli anni, di una purezza cristallina.
Calvino ha esplorato vari campi d’interesse e nelle sue opere si riflettono le sue meditazioni sulla storia e sulla società contemporanea.
Nel 1972, lo scrittore pubblica “Le città invisibili”, un romanzo, giocato su un singolare dialogo, quello tra Marco Polo e l’imperatore dei Tartari Kublai Khan.
Il sovrano interroga il giovane veneziano sulle città del suo immenso impero. Sono 55 le città descritte; rigorosamente immaginate, portano tutte il nome di una donna.
Attraverso i racconti di Marco Polo ci troviamo ad ammirare un variopinto e singolare dispiegamento di architetture fantastiche e usanze bizzarre. In questo variegato panorama, non manca neppure una città dei morti.
“Ogni città, come Laudomia, ha al suo fianco un’altra città i cui abitanti si chiamano con gli stessi nomi: è la Laudomia dei morti, il cimitero. Ma la speciale dote di Laudomia è d’essere, oltre che doppia, tripla, cioè di comprendere una terza Laudomia che è quella dei non nati.
Le proprietà della città doppia sono note. Più la Laudomia dei vivi si affolla e si dilata, più cresce la distesa delle tombe fuori delle mura. Le vie della Laudomia dei morti sono larghe appena quanto basta perché giri il carro del becchino, e vi s’affacciano edifici senza finestre; ma il tracciato delle vie e l’ordine delle dimore ripete quello della Laudomia viva, e come in essa le famiglie stanno sempre più pigiate, in fitti loculi sovrapposti. Nei pomeriggi di bel tempo la popolazione vivente rende visita ai morti e decifra i propri nomi sulle loro lastre di pietra: a somiglianza della città dei vivi questa comunica una storia di fatiche, arrabbiature, illusioni, sentimenti; solo che qui tutto è diventato necessario, sottratto al caso, incasellato, messo in ordine. E per sentirsi sicura la Laudomia viva ha bisogno di cercare nella Laudomia dei morti la spiegazione di se stessa, anche a rischio di trovarvi di più o di meno: spiegazioni per più di una Laudomia, per città diverse che potevano essere e non sono state, o ragioni parziali, contraddittorie, delusive” (Le città invisibili di Italo Calvino).