Il patrimonio storico, artistico e culturale italiano racchiude in sè anche le testimonianze legate ai trattamenti di conservazione dei defunti al fine di ritardarne la definitiva sepoltura, soprattutto nel Sud Italia.
Circa una decina di anni fa mi imbattei,presso il Castello Aragonese di Ischia, nei putridarium, una sorta di cripta sotterranea dove si era soliti riporre i cadaveri delle monache lungo alcune nicchie – colatoi disposte lungo le pareti e i cui liquami si riversavano in un foro centrale nella stanza.
Questa pratica, che a breve approfondiremo, sembra sia stata una chiave di lettura nell’interpretazione della morte e della sua gestione nella concretezza dei corpi senza vita in buona parte dell’Italia meridionale, dalla Calabria alla Puglia, dalla Campania alle terre lucane sino in Sicilia.
Contestualizzando taluni spazi rituali e simbolici e definendo la morte quale fenomeno sociale,
possiamo interpretare le società del Sud Italia tra XVIII e XIX secolo secondo cui il defunto risultava un pericolo per quella dei vivi.
Inizialmente, ed ecco dunque la prima fase, la salma veniva inumata o esposta in via provvisoria dando inizio alla fase liminale in cui il defunto era sì non più vivo ma..
..non ancora totalmente morto, ergo si pensava che la sua anima vagasse ancora sulla terra.
Quando le spoglie iniziavano a disfarsi, portando alla luce lo scheletro, allora si poteva procedere con la seconda sepoltura:
eliminando ogni qualsivoglia residuo molle dalle ossa queste potevano essere riposte nell’ossario insieme agli ascendenti.
In tal modo, con le ossa – simbolo di purezza – totalmente ripulite, l’anima poteva definirsi attraccata nell’aldilà.
Con la modernità e le riforme religiose legate alle prassi dei riti di passaggio, ci si interrogò sul concetto stesso di durata ovvero quanto tempo l’anima del defunto dovesse vagare per entrare, infine, nell’Aldilà.
La doppia sepoltura iniziò ad essere abolita traslando il passaggio dell’anima nella concezione di Purgatorio, definendo così nuove regole per la società dei vivi.
Ma la pratica della doppia sepoltura riuscì a sopravvivere, come poc’anzi si diceva, in alcune zone del Sud Italia.
Distinguiamo dunque due tipologie di colatoi: i colatoi orizzontali e i colatoi a sedile.
I colatoi a tipologia orizzontale, finalizzate ad un’ottimale mummificazione della salma, furono una pratica molto diffusa soprattutto in Sicilia e di cui non si riscontrano tipologie simili in altre parti del Paese.
Le griglie su cui erano riposti i cadaveri potevano essere in legno (come nella foto) oppure in ceramica: in tal modo, la salma vedeva un progressivo “scollamento” delle parti molli in modo del tutto naturale in un ambiente in cui la ventilazione
– grazie ad alcune prese d’aria ed una temperatura costante – ne garantiva l’essicazione.
Ad uno stato ottimale di mummificazione il corpo veniva ripulito e rivestito, per essere quindi esposto in cappelle funerarie o cripte per essere osservato e visitato da chiunque lo volesse.
La tipologia “a sedile” presentavano una funzione del tutto particolare.
I defunti infatti venivano inizialmente sepolti nelle “terresante” spazi in cui, sotto le chiese, venivano sotterrati sotto uno strato non molto profondo di terra lasciata smossa e non battuta.
Nei giorni dei morti, alcuni venivano disotterrati, ripuliti e rivestiti e, a distanza di mesi, taluni venivano riposti nelle fosse comuni mentre altri trovavano dimora nelle nicchie disposte intorno alle stesse terresante, per lasciar continuare i processi di tanatomorfosi, secondo tempi molto lunghi.
Tutto ciò richiama dunque al processo della doppia sepoltura, dove i sedili presentavano un sistema di deflusso dei liquidi cadaverici. Talvolta i copri venivano ivi riposti senza passare per il processo di sepoltura nelle terresante.
Quando il corpo, dunque, risultava privo di parti molli attaccate alla struttura scheletrica, i teschi venivano presi e riposti su alcune mensole presenti al di sopra delle nicchie e, il resto dello scheletro, negli ossari.
Certamente con le riforme igienico-sanitarie legate alla sepoltura extraurbana, si cercò di “contenere” il danno definendo tempistiche più ridotte in merito alla conservazione temporanea delle salme:
un anno come limite di tempo per cadaveri di piccole dimensioni, un anno e mezzo per il resto delle salme con eccezione delle persone in sovrappeso ed obese, destinate a due anni di conservazione nei colatoi.