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Tanatologica(mente)

Death Cafè.

Verso nuove frontiere di elaborazione del lutto

Parlare di malattia, non è facile. Soprattutto però, non si riesce a parlare di morte. L’emergenza che ci ha coinvolti a livello globale ci sta mettendo dinnanzi alle nostre più recondite ansie e paure: quelle legate alla morte, ultimo atto dopo il ciclo della vita.

Sicuramente ci sta facendo riflettere sul nostro senso di vivere, di pensare, di relazionarci con gli altri, in particolare quando il nostro contatto con il mondo esterno viene a mutare e ad essere ristretto, quasi vietato, anche se è necessario per salvaguardare noi e gli altri.

Cosa possiamo e dobbiamo imparare da tutto questo? Che di morte è giusto parlare, si deve parlarne, soprattutto per esternare tutte quelle emozioni legate al dolore della perdita che la società non ci consente di esprimere.

Dobbiamo essere sempre attivi, felici, produttivi, non c’è tempo per la tristezza, non possiamo assolutamente permetterci di fermarci e chiederci: “ma io, effettivamente, come sto?”.

Se ci fermassimo a pensare, sicuramente ci renderemmo conto che per noi è necessario parlare con gli altri, confrontarci, sfogarci, sentirci compresi e accolti.

Ed è proprio per tale motivo che introduciamo qui la preziosa opportunità dei Death Cafè.

Innanzitutto, cos’è un Death Cafè? Uno spazio dove poter condividere, anche e soprattutto con degli estranei, le proprie esperienze e pensieri legati a questo tema che ci fa così paura. In che modo? Attraverso un incontro accompagnato da thè e pasticcini.

Il primo esempio ci perviene con il Sociologo e antropologo svizzero Bernard Crettaz, che propose i Cafès Mortels. Da qui, nel 2011, nacque il primissimo Death Cafè a Londra, che offre uno spazio al tema della morte dove siano persone sconosciute a confrontarsi, e il gruppo gestito da un facilitatore.

Questa modalità di mutuo aiuto e condivisione è utile per parlare di morte senza provare imbarazzo, il tutto facilitato proprio dalla condivisione del cibo, elemento essenziale nelle ritualità sin dai tempi più remoti.

La condivisione può aiutare ad aumentare la propria consapevolezza legata al tema della morte, senza presunzione di avere risposte certe e oggettive.

Non si tratta di una terapia, né è una forma di supporto a pagamento: dal 2011 sono cominciati a comparire non solo in Europa ma anche in Asutralia, Stati Uniti e in alcune parti dell’Asia i primi Death Cafè, ovviamente gratuiti.

In Italia, per quanto ci riguarda, il primo esempio nacque a Verona nel febbraio del 2013, grazie ad Elisabetta Lucchi, che offre la possibilità di conversare apertamente sulla morte, a prescindere dai propri orientamenti di fede, religione, genere ed etnia.

Parlare di morte? Si può.

Di Beatrice Roncato

Tanatologa Culturale, Tanatoesteta e Cerimoniere Funebre

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