Al di là di ogni potenziale visione macabra e folkloristica, quando ci approcciamo agli Aghori altro non dobbiamo fare che analizzare le loro pratiche legate ad una concezione profonda della Morte.
La Morte, la Morte..colei che è solo il principio, un epilogo illusorio.
Gli Aghori appartengono al gruppo di sadhaka, ovvero coloro soliti praticare una visione sarco-spirituale entro la più estesa dottrina indù.
La loro peculiarità sta nella scelta vera e propria di andare contro le convenzioni societarie, e il loro nome significa “benevolo“, invero uno dei nomi di Shiva.
Shiva è la rappresentazione della morte ed il terreno di cremazione, quindi Aghora ha uno stretto legame con questa tematica.
Proprio nei terreni dedicati alla cremazione, gli Aghora si trovano per i rituali tantrici, soffermando le proprie riflessioni su una tema tanto delicato quanto necessario ed umano, la morte.
Il tema per l’appunto, di estrema attualità – non che passo universale dell’esistenza – come ben sappiamo è ancora oggi un tabù, ma gli Aghora ritengono doveroso parlarne e renderlo fulcro delle proprie attività e riflessioni.
Nella società occidentale, infatti l’uomo tende a negare questo aspetto terreno, nella sensazione ed autoconvinzione che la morte non lo toccherà mai, capiterà sempre ad altri individui.
La capacità di questa tribù sta proprio nella riorganizzazione esistenziale attraverso una visione più oggettiva e meno illusoria della realtà, quindi guardando alla morte nel suo più estremo atto e percezione fisica.
Questo proprio perchè quando si inizia ad avere una maggiore consapevolezza della morte la stessa visione e rispetto della vita mutano.
I luoghi di cremazione detengono dunque un deciso e profondo significato poichè li si ritiene capaci di portare l’uomo ad un distacco dalla vita attraverso un percorso spirituale che, però non dura se non per pochi giorni o ore, rendendo il pellegrinaggio qui più sovente.
Questi incontri, laddove si riuniscono le pire, coinvolgono gli Aghori in pratiche di yoga, vestiti di nero, l’utilizzo e il cospargersi di cenere e di ossa umane, talvolta anche l’utilizzo di stupefacenti o alcolici – sia chiaro, sempre in maniera controllata e per fini spirituali – .
Tra alcune pratiche estreme, annoveriamo il sedersi su un cadavere deceduto da poco tempo, e cantare alcuni mantra. E’ una pratica delicata a cui non tutti riescono tenere testa, poichè estrema o comunque attuata solo dai più esperti.
Da sottolineare come, per queste tribù, vi sia sottostante il perenne pensiero che la Morte è inevitabile e fa parte della vita: allo stesso modo infatti, risulta esservi un rituale in cui ci si cibi di riso mescolato con residui cerebrali, per ricordare l’effimeratezza della vita terrena mantenendo però autocontrollo e distacco dall’atto.