Le cause della morte di Vincent van Gogh sono tuttora incerte. La tesi del suicidio è ancora la tesi ufficiale, ma restano alcuni dubbi, ancora non del tutto fugati.
Vincent Willem van Gogh (Zundert, 30 marzo 1853 – Auvers-sur-Oise, 29 luglio 1890) fu un artista molto prolifico: realizzò quasi novecento dipinti e più di mille disegni. Le sue opere hanno influenzato notevolmente l’arte del XX secolo, ma la sua grandezza fu una conquista postuma.
Iniziò a dipingere tardi, a ventisette anni, e gran parte delle sue opere più famose videro la luce negli ultimi due anni di vita. Vincent Van Gogh spaziò tra soggetti molto diversi: dagli autoritratti ai paesaggi, dalle nature morte ai campi di grano.
Ebbe una vita difficile, in gran parte a causa dei suoi disturbi mentali e tuttora, anche se con qualche incertezza, si ritiene si sia suicidato, sparandosi al petto con un revolver Lefaucheux pinfire da 7 mm, il 27 luglio del 1890, all’età di 37 anni.
Il presunto suicidio è probabile sia avvenuto nel campo di grano in cui stava dipingendo o in un fienile locale. Non ci furono testimoni e il pittore non morì sul colpo, bensì trenta ore dopo lo sparo.
Il proiettile mortale lo colpì all’addome e fu deviato da una costola, passando attraverso il torace non produsse danni apparenti agli organi interni e forse, fu arrestato dalla spina dorsale.
Probabilmente, l’artista voleva spararsi al cuore, ma fece un errore, pensando che il cuore fosse all’altezza del capezzolo sinistro.
Nonostante la ferita, il pittore riuscì a tornare a piedi all’Auberge Ravoux, dove alloggiava. Si rifugiò subito nella sua camera; il locandiere, non vedendolo scendere a pranzo, salì in camera sua. Lo trovò disteso e sanguinante sul letto; l’artista gli confessò di essersi sparato un colpo di rivoltella al petto in un campo vicino, altrettanto disse al suo medico, Paul Gachet.
Il pittore fu assistito da due medici, ma non essendo presente un chirurgo, il proiettile non poté essere rimosso. Fu curato come meglio si poteva e poi, i medici lo lasciarono da solo nella sua stanza, a fumare la pipa.
La mattina seguente, Theo, suo fratello, venuto a conoscenza di quanto era accaduto, si precipitò da lui e lo trovò di buon umore. Nel giro di poche ore, però, la salute di Vincent cominciò a cedere, a causa di un’infezione non curata, derivante dalla ferita.
Van Gogh morì nelle prime ore del 29 luglio e, secondo Theo, le sue ultime parole furono: “La tristezza durerà per sempre”.
Il suicidio rientrava pienamente nel profilo dell’artista, soggetto autolesionista e insicuro.
Inoltre, a carico di tale tesi, ci sono molte testimonianze. Innanzitutto, quella del suo medico, Paul-Ferdinand Gachet (1828 – 1909), che scrisse al fratello di Vincent, Theo, sostenendo appunto che il suo paziente si fosse suicidato.
Gachet aveva controllato personalmente la ferita e fu proprio lui a comunicare quanto era accaduto al fratello dell’artista. Se avesse avuto dei dubbi o la dinamica degli eventi non gli fosse stata chiara, sicuramente ne avrebbe parlato con Theo, invece, anche dopo la morte di Vincent, parla di suicidio in una lettera indirizzata al fratello dell’artista.
Anche Theo la pensava così. Il fratello di Vincent, corso al suo capezzale, passò con lui dodici ore, cioè tutto il tempo della sua agonia, conversando con lui fino alla fine. Dalla sua bocca raccolse una sorta di addio al mondo, una frase che riportò in una lettera alla moglie, tre giorni dopo la morte dell’amato fratello: “questo è il modo in cui volevo andarmene, ci sono voluti pochi istanti e alla fine ho trovato la pace che non sono riuscito a trovare sulla terra”.
Gli amici e coloro che gli in qualche modo si trovarono coinvolti nella sua morte furono concordi nell’affermare che l’artista si fosse suicidato:
- Emile Bernard (1868 – 1941; pittore neo-impressionista) sperava di salvargli la vita, ma fu il pittore stesso a impedirglielo, come confessò durante il suo funerale al dottor Gachet. Vincent aveva minacciato che avrebbe tentato di nuovo il suicidio, se lui avesse fatto qualcosa per salvarlo
- George-Albert Aurier (1865 – 1892; scrittore e critico d’arte) scrisse: “Si è ucciso. La domenica sera andò nelle campagne intorno ad Auvers, appoggiò il cavalletto contro un pagliaio, andò dietro il castello e sparò un colpo di pistola contro se stesso. […] Vincent l’aveva fatto in completa lucidità, […] con il desiderio di morire”
- Paul Gauguin (1848 – 1903; pittore, tra i maggiori interpreti del post-impressionismo), consapevole dello stato mentale del suo amico, di cui conosceva le profonde fragilità, nel suo libro “Avant et Après” scrisse che Van Gogh si era sparato allo stomaco; anche se non era presente al fatto, Gauguin era sempre rimasto in contatto con Van Gogh e fu informato di quanto era accaduto da amici comuni
- I gendarmi redarguirono Van Gogh per il suo gesto, come dichiarò Arthur Ravoux, il locandiere di Auvers, ma l’artista, in punto di morte, rispose in modo deciso ai loro rimproveri: “Quello che ho fatto non sono affari di nessuno. Sono libero di fare ciò che mi piace con il mio stesso corpo”. La polizia non ebbe alcun motivo di dubitare che si fosse suicidato, altrimenti avrebbe avviato un’indagine, invece, non è stato trovato alcun fascicolo sulla morte del pittore
- la Chiesa accettò la tesi del suicidio e il sacerdote cattolico, Henri Tessier, non autorizzò la celebrazione del funerale nella sua chiesa
A ulteriore conferma della morte per suicidio, c’è un precedente tentativo avvenuto nel 1889, nel mese di aprile; quattro mesi dopo il taglio dell’orecchio che si era autoinflitto, Vincent Van Gogh cercò di avvelenarsi, mangiando i suoi stessi colori.
Gli ultimi mesi di vita del pittore furono particolarmente difficili. Era stato per un anno in manicomio e poi era andato a vivere ad Auvers-sur-Oise (comune francese ubicato nel dipartimento della Val-d’Oise, nella regione dell’Île-de-France, sulla sponda destra del fiume Oise, a 27,2 km a nord est di Parigi), inoltre, l’artista aveva sempre beneficiato dell’appoggio del fratello sia finanziario, Theo gli inviava regolarmente un assegno, sia emotivo; proprio in quell’anno, però, Theo si era sposato e a breve, era diventato padre, questo evento fece temere a Vincent, già di natura fragile, di perdere l’affetto del fratello, dovendo competere con una moglie e un figlio. Inoltre, l’artista era anche a conoscenza dei recenti problemi economici del fratello.
Tutti fatti questi che sembrano inevitabilmente indirizzare verso l’ipotesi del suicidio. In un prossimo post, però, valuteremo una interessante tesi, emersa nel 2011, che suggerisce una eventualità ben diversa: l’omicidio.
In copertina: Vincent van Gogh, Autoritratto (Parigi, primavera 1887)