A nominarla, fa paura. A parlarne, chiudiamo gli occhi e cerchiamo di girarci dall’altra parte. Ma chi sarà mai, Lei? Da dove nasce la sua figura personificata?
Da sempre la Morte è una figura personificata sia nella cultura folkloristica che nella mitologia infatti, troviamo numerosi esempi di questa creatura antropomorfica, talvolta, o per lo più raffigurata come uno scheletro con la falce ed un lungo saio di colore nero (ed ecco dunque “Il triste mietitore”).
Dalle Danze Macabre alle rappresentazioni nei Giudizi Universali dei più celebri artisti, la Morte è in realtà un essere neutro, nè cattivo nè buono:
il suo scopo e lavoro principale è infatti quello di condurre le anime degli esseri viventi nell’Aldilà, ovvero nel mondo dei Defunti, divenendo cioè psicopompo.
Se sia Donna o se sia Uomo, però, non ci è dato sapere: talune culture la percepiscono come maschile, altre invece come femminile:
nel mito greco Tanato era il dio della Morte, fratello di Ipno (il Sonno) citato da Esiodo e nell’Iliade, raffigurato come un essere dal cuore di ferro e gli organi bronzei.
Nel Buddhismo e nell’Induismo, la Morte è Yama, un dio che accompagna e giudica le anime nel trapasso, rappresentato come un uomo cavalcante un maestoso bufalo di colore nero.
Nella tradizione ebraica, la morte è un Angelo che vive nel cielo, ed ha 12 ali. La sua rappresentazione è piuttosto singolare: ricoperto sull’intero corpo da occhi e con in mano una lunga spada con sulla punta del fiele.
Al momento della morte, questo Angelo farebbe cadere una goccia tra le labbra del morente, causandone l’effettivo decesso.
Stando alla tradizione vi sarebbero in realtà ben sei angeli della morte: Gabriele, Kapziel, Meshabber, Mashhit, Af ed Hemah.
Per quanto concerne il Cristianesimo, essa non è ritenuta come eterna: Lei può far resuscitare e far risorgere taluni individui (basti pensare a Lazzaro o allo stesso Gesù).
Nella visione dell’Islam, la morte è Azrael, uno dei 4 Arcangeli.