Il lutto perinatale è una delle esperienze più dolorose che possano accadere: in Giappone esiste un’apposita cerimonia dedicata ai mai nati.
Questo tipo di lutto, facente parte dei disenfranchised grief (lutti cioè delegittimati) non riconosciuti dalla società contemporanea che possono provocare sentimenti, soprattutto nei dolenti, contrastanti e incompresi.
Dal giapponese “水 子 供養“, Mizuko kuyō è letteralmente la cerimonia commemorativa dedicata al bambino dell’acqua: la delicatezza dell’immagine ci riporta subito all’utero materno, alla condizione però terribile dell’aborto spontaneo e la nascita di un bimbo privo di vita, o semplicemente di un aborto.
Mizuko (水 子) è infatti il termine per definire un neonato morto, mentre Kuyō (供養) fa riferimento al servizio funebre vero e proprio.
Non solo presente in Giappone bensì anche in Thailandia ed in Cina, questo rituale presenta dei santuari specificamente ad esso dedicati.
Sono luoghi appositamente creati per accogliere il dolore dei genitori e accudire anche l’anima del mai nato, soprattutto a causa dei sensi di colpa conseguenti alla scelta o per la paura di essere perseguiti da spiriti maligni.
Nei templi appositi è usanza offrire in dono le statue di Jizo, il protettore dei bambini, che poi verranno adornate con vestiti e bavaglini a misura di bambino, poi esposte nel tempio: è in realtà un rituale non poi così antico, segnalato cioè a partire dagli anni ’70 del secolo scorso.
Questi luoghi di commemorazione servono principalmente a due scopi: celebrare non solo la morte, ma anche la vita: quando si fa visita al Tempio infatti, mentre i genitori si prendono cura della statua offerta a Jiza gli altri bambini possono giocare tra loro, sfidando paradossalmente in tal modo la sfrontatezza della morte stessa.
Celebrare questo lutto è fondamentale per elaborarlo in modo, per quanto possibile, sereno e “sano”: con questa cerimonia possiamo imparare a riflette sulla perdita e la delicatezza della vita attraverso uno spazio sicuro, che possa riconoscerne la valenza che merita.