Il confronto con le ritualità funebri orientali è un ottimo punto di partenza per riflettere su un differente modo di vivere i lutti e la percezione dell’Aldilà.
Partiamo dunque dagli yūrei (幽霊) da yu – flebile – e rei – anima-, ovvero gli spiriti tradizionali giapponesi: le anime dei defunti che si trovano in un limbo non riuscendo in tal modo a raggiungere con serenità il mondo dei morti.
La tradizione giapponese sostiene che ogni essere umano abbia un’anima (reikon -霊魂) la quale, dopo il trapasso, lascia il corpo terreno rimanendo però in attesa dei rituali funebri necessari ad un positivo passaggio nell’aldilà.
Perchè è fondamentale che il rito funebre venga svolto nel migliore dei modi? Perchè solo in tal modo lo spirito potrà divenire benevolo e protettore della famiglia tornando a farle visita nella festività di Obon, che si compie nel mese di agosto.
In caso contrario, qualora cioè il rituale non fosse appropriato o si trattasse di un decesso truculento, lo spirito può trasformarsi in uno yūrei, ancora ancorato al mondo dei vivi con cui tenta di entrare in contatto.
Questa forma di spirito può infestare persone, cose o luoghi ed è possibile allontanarlo solo con rituali dedicati che gli facciano ritrovare un equilibrio.
Nell’immagine vediamo un esempio classico di rappresentazione di uno yūrei, ovvero con capelli lunghissimi (si pensava che post mortem questi continuassero la crescita) lisci e neri, in abito bianco (lontano ricordo di un kimono in forma funebre del periodo Edo) con un fazzoletto triangolare – con la punta verso l’alto – posto sulla fronte.
Spesso accompagnati da due fuochi fatui (hitodama) simbolo di stati d’animo tristi, gli yūrei riportano altresì la mancanza della parte inferiore del corpo, fluttuando dunque nell’aria.
Addentrandoci più profondamente nei funerali giapponesi noteremo che, in base alle differenze regionali, vi sono diversi rituali per lo più legati però alla comune tradizione buddista.
Il corpo del defunto viene sovente deterso nelle strutture ospedaliere e vestito o con un kimono (se donna) o con una tuta (se uomo) e poi portato laddove si svolgerà la veglia funebre.
Subito dopo il decesso è usuale inumidire le labbra del proprio caro con della semplice acqua, i piccoli santuari entro le dimore chiusi e coperti con della carta di colore bianco affinchè gli spiriti malvagi rimangano lontani.
La salma viene supervisionata sino al momento della sepoltura entro o una camera mortuaria o proprio all’interno del santuario di famiglia: nel corso della veglia si utilizzano vestiti di colore nero (cravatta nera e camicia bianca per l’uomo, kimono nero per la donna).
Gli operatori funebri, dunque, si accingono a posizionare la salma nel feretro, ponendovi un kimono di colore bianco, un triangolo al centro ed una fascia bianca, un paio di sandali e del denaro per pagare l’obolo al fiume dei Tre Inferni, non è raro altresì che vengano posti anche alcuni oggetti cari al defunto, dalle sigarette alle caramelle ad altri oggetti quotidiani..
La testa viene posizionata verso ovest che, nel Buddismo, rappresenta il regno occidentale del Budda amida.
Il giorno dopo la veglia si realizza il vero e proprio funerale, dove si eseguono una serie di piccoli riti curiosi e particolari.
Viene invero dato un nome “postumo” (Kaimyo) al defunto, scritto su una targa di legno, la quale aiuta il defunto a…non tornare qualora i familiari ne nominassero il nome.
Nel corso della cerimonia si usa offrire dell’incenso attraverso una prassi delicata e rituale dove ci si inchina per poi tornare al proprio posto.
Dopo i ringraziamenti del capo famiglia, ma non dopo la lettura da parte del sacerdote dei “Sutra“, gli astanti possono lasciare il luogo di commiato, dopo essere stati invitati a deporre un fiore sul feretro.
La bara viene dunque preparata per essere portata nel luogo della cremazione, a cui i familiari assistono e di cui aspettano i resti.
Anche qui, si assiste ad un profondo e riflessivo rituale: quando è ora di ritirare i suddetti resti, ad ogni membro della famiglia viene donato un kit di bacchette per raccoglierli e posizionarli nell’urna cineraria, questo contemporaneamente tutti insieme.
Da qui, l’usanza che ci spiega come mai, allorquando due persone prendano un pezzo di cibo nello stesso preciso istante con le bacchette, tendano a ritirare subito la mano, poichè questo gesto avviene solo e soltanto per riporre i resti nell’urna (o nelle urne, visto che vi è la possibilità di ripartirle in più recipienti).