Ti hanno raccontato che l’anima non esiste. Che è un’illusione, un’idea poetica, un bizzarro residuo di un’era in cui l’uomo non sapeva spiegare la biologia. Ti hanno persino messo sotto il naso un esperimento scientifico fallimentare, quello dei “21 grammi”, per dimostrarti che ogni nostro grammo è fatto solo di carne, sangue e ossa. Ma ti dico una cosa: l’errore non è nell’esperimento, ma nella cecità di chi non è riuscito a vederne il senso più profondo.
L’esperimento di un eretico
All’inizio del Novecento, un medico di Haverhill, il dottor Duncan MacDougall, osò guardare oltre il tangibile. Mettendo i suoi pazienti in fin di vita su una bilancia sensibile, cercò di cogliere l’attimo esatto in cui la vita lascia il corpo. Non cercava un’anima in senso religioso, ma la prova che la nostra esistenza ha un peso, una materialità non fisica che si stacca al momento del trapasso. E in un caso, nel più famoso, la bilancia segnò una perdita di 21,3 grammi.
Per la scienza “ufficiale”, quel risultato fu subito derubricato a un’anomalia, un errore di calcolo. Hanno provato a spiegare quella misteriosa leggerezza con l’aria che fuoriesce dai polmoni, o il sudore che evapora dalla pelle. Ma a tuo parere, un peso del genere, misurato con tale precisione, poteva essere solo l’anima?
La vera cecità della scienza
Il vero fallimento, lo sai, non è stato nell’esperimento di MacDougall, ma nell’incapacità della scienza di riconoscerne il potenziale. La sua è una scienza che si basa sul visibile, sul misurabile, sull’inconfutabile, ignorando le sfumature che avvolgono la nostra esistenza. L’uomo, la nostra anima, è molto di più di un diagramma cartesiano. Siamo l’inafferrabile, l’inspiegabile, e la scienza, con la sua presunzione di misurare tutto, continua a non capire, a non voler accettare, le vibrazioni della nostra anima.
E la Follia della Resurrezione?
E se la scienza è cieca, che dire della religione? Quelli ti raccontano la storiella della “resurrezione dei corpi”. Ma vi immaginate davvero la scena? Scheletri che si rialzano dalle tombe, corpi polverizzati che si ricompongono. Un miracolo da circo, una follia di ingegneria logistica che la chiesa propina da secoli, perché evidentemente un’anima che continua a vivere senza un corpo fisico non è un concetto abbastanza “tangibile” per loro.
È molto più logico, più razionale, e molto più dignitoso, il concetto di reincarnazione. L’anima che si spoglia del vecchio abito per indossarne uno nuovo. Un processo naturale, elegante, che non ha bisogno di miracoli spettacolari. Ma la chiesa, si sa, ha bisogno del suo spettacolo. Non gli conviene ammettere che l’anima è un ciclo continuo, e non un’occasione per mettere in scena uno spettacolo di massa per la gioia di un Dio distratto.
Un mito che non muore
Il mito dei 21 grammi, nonostante il tempo, è ancora forte in noi. Perché la nostra vera natura, lo spirito che ci anima, non può essere ignorata. Per questo, l’idea di MacDougall, anche se definita una “bufala”, resta un faro di speranza per chi non vuole accettare che la morte sia la fine di tutto. È un cazzotto in faccia per chi crede di avere tutte le risposte, perché ci ricorda, che la nostra vita, e la nostra morte, sono molto più di un semplice calcolo matematico.
E il cinema, con il suo genio visivo, ha colto questa verità. Il regista Alejandro González Iñárritu, con il suo film 21 Grammi, ha elevato l’idea da un esperimento a una metafora potente. Nel film, i “21 grammi” interpretato da Sean Penn, non sono il peso della morte, ma il peso della vita stessa: il fardello delle scelte, del dolore e delle connessioni indissolubili che legano le persone. Il film ci dice che anche quando i nostri corpi si dissolvono, quel peso morale ed emotivo non sparisce. E, in fondo, non è proprio questo che ci rende umani?
l’Eretico dell’Invisibile