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Tanatologica(mente)

Sokushinbutso

Il rituale di auto mummificazione dei vivi.

Alle pendici dei tre monti Dewa (Gassan, Yudono e Haguro – San), troviamo il Tempio Dainichi Bou, con le affascinanti testimonianze di una pratica tanto unica quanto particolare.

In questo tempio troviamo infatti l’unico esemplare di Sokushinbutsu, appartenente al corpo del monaco Shinnyokai Shonin che aveva solo vent’anni quando si avviò a questa pratica sacrificale: è ritenuto l’unico capace di giungere allo stato di Buddha.

Parliamo proprio dello Sokushinbutsu, una sacrificazione rituale non definibile come suicidio, non secondo la fede di questi monaci, finalizzata all’automummificazione.

E’ una pratica ascetica per cui i monaci buddhisti si preparavano alla morte:  non mangiavano, smettevano di nutrirsi gradualmente cercando di eliminare i grassi corporei, in una condizione di isolamento sociale.

Il corpo si seccava e disidratava, ma la pelle e i denti rimanevano intatti.

L’aspirante asceta preparava una piccola dimora sul Monte, in cui vivere per 3, 6 o 9 anni, coperto da un solo strato di vestiti. Sembra che molti monaci abbiano provato a praticare tale rituale nel mondo, e ne sono state trovate ben 24.

Come si giungeva all’automummificazione? Il monaco doveva cibarsi di cortecce, ghiande e noci, bere un the tossico, proveniente dall’albero Urushi, affinchè il corpo non venisse coinvolto nei processi di putrefazione.

Era dunque una pratica dolorosa che coinvolgeva il monaco a livello psichico e fisico: attraverso una pena fisica estrema si giungeva ad una mummificazione quando si era ancora in vita.

Il corpo, debole e sfinito, veniva quindi chiuso in una sorta di cripta scavata appositamente per l’occasione: una buca profonda tre metri rivestita con lastre di pietra, dove il monaco veniva riposto con la testa verso il monte Yudon e seduto secondo la posizione del loto.

Una volta posizionato entro la cripta, il monaco poteva esalare gli ultimi respiri grazie alla presenza di un foro, ripetendo i suoi mantra fino alla fine.

La cripta aveva inoltre un campanello, cosicché il monaco potesse suonarlo sino agli ultimi istanti di vita: quando smetteva di suonarlo, significava che la morte era sopraggiunta ed il foro dunque sigillato.

La curiosità ulteriore sta nel fatto che il corpo preserva al suo interno i propri organi ancora intatti.

Ogni sei anni si procede alla vestizione con nuovi abiti del Monaco in segno di rispetto e devozione.

Di Beatrice Roncato

Tanatologa Culturale, Tanatoesteta e Cerimoniere Funebre

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