Categorie
Cultura Curiosità letteratura

“Scheletro nell’armadio”: storia di una nota frase idiomatica

L’espressione: “scheletro nell’armadio” è usata spesso nel linguaggio quotidiano, ma soprattutto, compare in quello giornalistico, e sta ad indicare un fatto o un evento del passato, che si intende tenere nascosto, perché, se diventasse di dominio pubblico, potrebbe danneggiare chi vi era coinvolto.

L’espressione: “scheletro nell’armadio” è usata spesso nel linguaggio quotidiano, ma soprattutto, compare in quello giornalistico, e sta ad indicare un fatto o un evento del passato, che si intende tenere nascosto, perché, se diventasse di dominio pubblico, potrebbe danneggiare chi vi era coinvolto.
Lo “scheletro” potrebbe cioè, essere fonte di vergogna o umiliazione, potrebbe far perdere la reputazione a chi lo tiene celato o addirittura, provocare problemi legali o economici di una certa entità.

I modi di dire servono a esprimere o meglio ancora a definire situazioni della vita quotidiana e spesso, hanno origini antiche, a volte, piuttosto curiose.

Alla locuzione “Scheletro nell’armadio” si accompagnano di solito i verbi “avere” o “tenere”.
Secondo i linguisti, non esistono testimonianze letterarie che rimandino a un’origine italiana di questa particolare espressione e, per alcune fonti, è probabile si tratti di una copia delle espressioni inglesi: “skeleton in the closet” (scheletro nel guardaroba) o “skeleton in the cupboard” (scheletro nella credenza) che ritroviamo citate nei dizionari più quotati, come l’Oxford English Dictionary che offre numerose citazioni d’autore, tutte a partire dalla metà del XIX secolo, anche se tale locuzione era già ben presente nel linguaggio comune in tempi precedenti.

Pare che “avere uno scheletro nell’armadio” discenda dal fatto che, fino al 1832, in Inghilterra, gli studi sui cadaveri si potessero eseguire solo su salme di criminali giustiziati. Gli scheletri poi, non potevano essere lasciati allo scoperto, quindi, erano conservati all’interno, appunto, di un armadio.

Altri autori, invece, credono che l’origine del modo di dire dello scheletro nell’armadio provenga dal suolo francese e cronologicamente, segua l’espressione inglese a distanza di circa un secolo.

La prima attestazione letteraria, della locuzione francese: “avoir un squelette dans le placard” (“Les huissiers de petits bourgs, vous savez, ont souvent un squelette dans le placard ”, tratta dal romanzo di Jean Giono (1895-1970) Noé, pubblicato nel 1947, e, nel 1962, raggruppato dall’autore stesso insieme ad altre opere, sotto l’etichetta di “Chroniques romanesques”), si trova nel Trésor de la langue française.

Secondo lo scrittore, Bernard Delmay, questo modo di dire risale a un episodio accaduto ai tempi della Rivoluzione francese ed è legato alla figura del conte di Mirabeau, Honoré Gabriel Riqueti.
Il conte era ritenuto un grandissimo rivoluzionario, ma ahimè, dopo la sua morte, questa opinione subì un forte scrollone.
Nel 1792, fu aperto un armadio blindato del Palazzo delle Tuileries, denominato “Armoire de fer” (armadio di ferro).
L’armadio segreto era collocato a incasso nel muro del corridoio che collegava la camera da letto del re Luigi XVI (1754-1793) a quella del delfino.

Per celarlo alla vista, l’armadio era chiuso da una porta in ferro, ricoperta da uno strato di pittura che simulava la pietra.
Luigi XVI lo fece realizzare dal fabbro, François Gamain, e lo utilizzava per nascondere documenti riservati e corrispondenze compromettenti.

Il 19 novembre del 1792, alla Convenzione Nazionale si dibatteva sulla questione di processare il re, dopo che questi aveva cercato, senza riuscirvi, di lasciare la Francia. In questo frangente, il fabbro Gamain svelò al ministro dell’Interno, Jean-Marie Roland, l’esistenza dell’Armoire de fer che il 20 novembre fu aperto dallo stesso fabbro.

Roland, conservò i documenti trovati nell’armadio e successivamente, dopo averli ordinati, li consegnò alla Convenzione. Si trattava di 726 carte.
Il ministro Gamain, per questo suo intervento, fu sospettato di aver trattenuto e poi eliminato dei documenti compromettenti per i suoi amici girondini e per Danton.
Il giorno successivo alla consegna dei documenti, la Convenzione istituì la Commissione dei Dodici, poi ampliata a ventuno componenti, che pubblicò l’inventario della documentazione.

Nei documenti si scoprirono i rapporti intrattenuti da Luigi XVI con diversi personaggi di spicco: il conte Mirabeau; Maximilien Radix de Sainte-Foix; i banchieri Joseph Duruey e Tourteau de Septeuil; Arnaud de Laporte, intendente della lista civile da cui erano presi i fondi che servivano a pagare gli agenti reali; il vescovo di Clermont, François de Bonal; i ministri Montmorin, Valdec de Lessart, Bertrand de Molleville, Louis Marie Narbonne Lara, Cahier de Gerville, Dumouriez; La Fayette; Antoine de Rivarol; Talleyrand.
Inoltre, dalle carte segrete emerse l’attività di corruzione creata da Montmorin e gestita da Collenot d’Angremont, attività volta a portare dalla parte del re noti agitatori e oratori di club e diversi deputati della Convenzione.

La scoperta dei documenti celati nell’Armoire de fer ebbe un’enorme risonanza nell’opinione pubblica e i Giacobini furono quelli che reagirono con maggiore intensità: il busto di Mirabeau fu distrutto, mentre il suo ritratto nella sala della Convenzione fu coperto. Inoltre, successivamente, il corpo del conte fu allontanato dal Panthéon.

La stampa diede notevole spicco alla notizia dello svelamento dell’Armoire de fer e un’illustrazione satirica di quei tempi mostrava uno scheletro con il volto di Riqueti che custodiva i documenti testimonianti il suo tradimento. Pare che, proprio a questa illustrazione sia legata la nascita dell’espressione “avere uno scheletro nell’armadio” che ancora oggi usiamo.

In copertina: Caricatura che mostra lo scheletro di Mirabeau che esce dall’Armoire de fer

Pinterest
Pinterest
fb-share-icon
LinkedIn
LinkedIn
Share
Instagram