Cosa si cela dietro ad un’usanza ormai resa illegale, per la quale la vedova doveva seguire il consorte..nell’aldilà?
Sati: tradizione indù per la quale la vedova, di seguito al decesso del marito e durante la pira funebre dello stesso, era in qualche modo obbligata a gettarvisi dentro, in segno di rispetto e devozione.
In verità, l’atto risultava necessario da un punto di vista..ereditario: ogni bene del marito infatti, andava alla di lui famiglia.
L’atto poteva essere volontario o, al contrario, la donna poteva essere obbligata a realizzarlo, commettendo in qualche modo una forma suicidaria, in cui la vedova muore arsa viva, proprio mentre il corpo del marito viene cremato.
A quanto pare, questa non è l’unica forma di sati (o suttee) esistente, ve ne sarebbero anche altre come quella che prevede l’annegamento della vedova o la sua sepoltura (viva) accanto alla salma del defunto marito.
Nonostante, oggi, tale pratica sia divenuta illegale, pare vi siano stati alcuni episodi di sati negli ultimi anni.
Questa pratica deriva dalla dea Dakshayani, la quale si immolò poichè era ingestibile sopportare la morte del proprio padre, in questo caso, ovvero Daksha.
Già dal 510 a.C. si iniziano a registrare diversi episodi di Sati incisi nelle stele nel Sud dell’India, ove oggi vengono posizionate delle pietre in memoria di tutte le sati immolate in nome del matrimonio.
Gli episodi risultano innumerevoli: nella prima metà dell’800, circa 7.941sati, per ogni casta e livello sociale.