La Santa delle spine: tra rose e penitenza
La storia di Santa Rita fa sicuramente parte di una ben più corposa collezione di vicende in cui il corpo di un Santo, chiunque esso sia, propone una lettura diversa del rapporto tra morte, Dio e l’Uomo.
Corpi, tombe, appartenenti a coloro che diventano epicentro di beatitudine e santità, si trasformano in luoghi di culto, il corpo diviene santo e, pertanto, qualsiasi cosa lo rimembri ed onori, diviene a sua volta oggetto di devozione.
Sono le reliquie, il corpo ad essere il mezzo attraverso cui Dio si dimostra all’essere mortale in virtù della sua finitezza e impermanenza.
Il corpo di Santa Rita, così come quello di qualsiasi altro Santo dunque, vede aleggiare intorno a sè il potere della salvezza, della cura e della salute stessa:
toccare la reliquia avrebbe un potere per l’appunto taumaturgico, quello di Rita poi avrebbe particolari virtù.
Il suo corpo, post mortem, per quanto incorrotto (privo di putrefazione tipica di ogni altro essere vivente) pare attuasse movenze in determinate circostanze:
levitava, la sua salma profumava di rose fresche e poteva essere premonizione di catastrofi (come ad esempio il Secondo conflitto mondiale).
I suoi poteri taumaturgici sono legati alla credenza che potesse curare con il solo tocco delle mani:
da parte delle madri di bambini cagionevoli di salute, le quali erano solite portarglieli, altresì poteva guarire dalla lebbra e da malattie ereditarie.
Il suo è un corpo perennemente in sofferenza: punizioni corporali autoinflitte, digiuni forzati, piaghe e ferite lasciate marcire per elevare il proprio martirio.
Il rapporto guarigione – religione legato a lei si rifletteva nell’utilizzo di polvere di rosa – vendute proprio al Monastero di Cascia -, rose benedette che possno aiutare a guarire i malati,
far rimanere gravide le donne sterili o utilizzate dai parenti di persone malate a loro insaputa, ma anche l’utilizzo di santini lasciati sotto i cuscini dei malati,
le medagliette portate al collo come protezione.