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Curiosità Tanatologica(mente)

Le maschere mortuarie

Una tradizione antica come il mondo: riprodurre le fattezze del defunto attraverso le maschere mortuarie.

Quando parliamo di maschera mortuaria facciamo riferimento ad una riproduzione, in cera o in gesso, del volto di una persona nel suo post mortem, ovvero il calco viene preso di seguito al decesso.

No, non vi è nulla di macabro in tutto ciò.

Abbiamo testimonianze molto, molto antiche, come ad esempio la maschera mortuaria di Tutankhamon, tradizione presente anche nel Medioevo sino al XIX secolo.

Tra il XVIII ed il XIX la realizzazione delle maschere mortuarie era finalizzata al riconoscimento di cadaveri ignoti, a fini dunque identificativi e pseudoscientifici pratica poi mutata e soppiantata dalla fotografia post – mortem.

Come poc’anzi accennato, tra le più famose ricordiamo quella di Tutankhamon, realizzata nella sua forma più sontuosa ed estremamente appariscente con gemme e smalti decorativi.

Le maschere di Agamennone e Cassandra, scoperte nel 1876 a Micene dall’archeologo Heinrich Schliemann, i cui teschi erano ricoperti interamente da maschere dorate, mentre nella tradizione romana era per lo più utilizzata la variante in cera, successivamente sostituite da quelle scolpite in pietra.

Credits: British Museum, Maschera di Napoleone

Le classi più abbienti in epoca romana e sino almeno al IV secolo erano solite concedersi il lusso di far creare una maschera mortuaria però in vita, esposte poi nel momento dei propri funerali alla famiglia ed ai visitatori, a modo di status symbol.

Nel Medioevo tardo le maschere funebri non venivano sepolte insieme al defunto bensì conservate in spazi sociali quali università, musei o biblioteche.

Ricordiamo tra queste quella di Dante Alighieri, conservata a Palazzo Vecchio a Firenze, di L. van Beethoven, Napoleone, Chopin, Tesla e Voltaire e molti altri ancora!

Credits: Bio Biography – Maschera mortuaria di Dante Alighieri

La maschera mortuaria dunque presenta molteplici sfaccettature in merito ad utilizzo e finalità: sempre più utilizzate verso la fine del XVIII secolo per gli studi di anatomia umana, furono molto utili per le analisi fisiognomiche finalizzate allo studio criminale.

Di Beatrice Roncato

Tanatologa Culturale, Tanatoesteta e Cerimoniere Funebre

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