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Oltre il Velo riflessioni sacro

L’Ultima Cavalcata: l’Apocalisse e il Ritorno

Quando il cielo si spegne, i Quattro Cavalieri ritornano. Tutte le nostre miserie e le nostre torri d’avorio saranno annientate… distrutte

Nelle pagine millenarie di un’antica profezia, l’Apocalisse non è un evento improvviso, ma il compimento di una storia iniziata molto tempo fa. È una narrazione che affonda le sue radici nel Libro dell’Apocalisse, dove la visione di San Giovanni descrive la rottura di sette sigilli, ciascuno dei quali scatena un flagello sull’umanità. I primi quattro a emergere da questa rottura non furono né angeli né demoni, ma i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse: figure sinistre e implacabili, destinate a cavalcare attraverso la storia, lasciando dietro di sé una scia di distruzione.

Il primo cavaliere, montando un cavallo bianco, è spesso identificato come la Pestilenza o la Conquista. Brandendo un arco, avanza come una forza invisibile e inarrestabile, non con armi fisiche, ma con la sottile minaccia delle epidemie. Per secoli, l’umanità ha tremato di fronte a questo cavaliere: dalla Peste Nera che spazzò via intere popolazioni, alle piaghe sconosciute che decimarono i popoli del Nuovo Mondo. Oggi, il suo volto si è modernizzato, assumendo la forma di virus globali che superano i confini in poche ore, o persino della sottile ma letale pandemia di disinformazione che avvelena la fiducia e la verità.

Il secondo cavaliere, su un cavallo rosso come il sangue, è la Guerra. Con in mano una grande spada, ha il potere di togliere la pace dalla Terra, portando gli uomini a uccidersi l’un l’altro. La sua cavalcata non è un ricordo del passato, ma una costante che ha segnato ogni epoca: dalle crociate ai conflitti mondiali, dalle trincee del Novecento ai conflitti che tuttora infiammano il pianeta. I suoi zoccoli risuonano nel rumore degli aerei da guerra, nei colpi di cannone e nelle urla di chi fugge da città in macerie, ricordandoci che la guerra non è mai stata sconfitta, ma semplicemente si evolve con noi.

Il terzo cavaliere, montando un cavallo nero, incarna la Fame. Regge in mano una bilancia, un simbolo che evoca il razionamento e la scarsità di risorse. Se nel passato questo cavaliere ha seminato morte attraverso carestie e siccità, oggi la sua presenza è più subdola. Il suo regno è l’ingiustizia economica, dove l’abbondanza di pochi contrasta con la privazione di molti. Cavalca attraverso le terre impoverite, le fabbriche svuotate e le città dove la disuguaglianza sociale è un’ombra persistente, dimostrando che la fame non è solo assenza di cibo, ma anche mancanza di equità e dignità.

Infine, il quarto e ultimo cavaliere è la Morte. Sul suo cavallo pallido, è l’epilogo inevitabile di tutti gli altri flagelli. La Morte non porta una spada, ma una scure o una falce, e il suo passaggio è accompagnato dall’Inferno. Se in passato la Morte era il risultato diretto di guerra e pestilenza, oggi la sua minaccia si manifesta in forme più ampie e forse più terrificanti. È il lento ma inesorabile declino ambientale, il surriscaldamento globale che sta alterando il nostro mondo, il lento svanire della biodiversità. È la morte non solo dell’uomo, ma di intere specie e di interi ecosistemi. Questo cavaliere non annuncia solo la fine di un individuo, ma la potenziale fine del nostro habitat.

Paura eh? E vi capisco… La narrazione dei quattro cavalieri non è una storia che si conclude nel definire chi sono, ma un monito che si evolve. Non sono figure mitologiche bloccate nel passato, ma simboli viventi delle minacce che l’umanità continua a generare. Forse l’Apocalisse non è un evento unico e definitivo, ma un processo continuo, alimentato dalle nostre scelte, dalla nostra ignoranza e dalla nostra capacità di distruggere.

La domanda da porsi non è “quando arriveranno i cavalieri?”, ma “non è che, per caso, siamo noi stessi i cavalieri, che in ogni era, cavalcano verso la nostra stessa fine?”.

La Marcia Finale: I Giorni della Grande Tribolazione

Se la storia dei cavalieri era fino a ieri un’ombra, una metafora inquietante delle nostre debolezze, oggi non lo è più. Le risposte sono arrivate non con una voce diretta dal cielo, ma con un crescendo di catastrofi che hanno spezzato la fragile illusione della nostra sicurezza. La narrazione è cambiata: non parliamo più di segni, ma di un’inarrestabile e brutale realtà.

La fine è iniziata non con un boato, ma con il crollo silenzioso delle nostre certezze. Il cavallo bianco della Pestilenza non ha portato un’unica malattia, ma una serie di piaghe senza precedenti. Virus sconosciuti sono mutati, rendendo inefficaci le nostre medicine, e l’aria stessa è diventata un veicolo di morte. Le città un tempo pulsanti di vita si sono svuotate, i volti nascosti dietro mascherine non per precauzione, ma per paura. Ma la vera piaga è stata la sfiducia: i legami sociali si sono disintegrati, e la compassione ha lasciato il posto al sospetto.

A questo si è aggiunta la Guerra. Il cavallo rosso non ha scatenato un conflitto convenzionale, ma una guerra totale contro noi stessi. Le linee di demarcazione tra nazioni sono crollate, e al loro posto sono sorte milizie di sopravvivenza, signori della guerra improvvisati e bande che si contendono le ultime risorse. Le metropoli, un tempo centri di progresso, sono diventate campi di battaglia dove l’unica legge è la sopravvivenza. Le notizie dai fronti sono solo voci, e il silenzio radio è la sola verità che ci rimane.

È in questo caos che il cavallo nero della Fame ha preso il sopravvento. Con il commercio globale interrotto, le catene di approvvigionamento si sono spezzate. I campi hanno smesso di produrre, le riserve si sono esaurite e il prezzo di ogni boccone è salito alle stelle, superando ogni possibilità per la gente comune. La bilancia che il cavaliere tiene in mano è un macabro simbolo di un mondo dove la ricchezza non si misura più in denaro, ma in cibo e acqua. Le strade sono piene di persone che cercano disperatamente un pasto, con gli occhi spenti e la speranza che si affievolisce.

Questi sono i giorni della tribolazione, un’epoca di sette anni che le antiche scritture descrivevano come la più difficile nella storia umana. I terremoti hanno squarciato la terra, tsunami hanno inghiottito le coste e il clima impazzito ha scatenato tempeste di fuoco e ghiaccio. Ogni giorno che passa è un tormento, un’interminabile serie di perdite. La luce del sole sembra meno luminosa, il cielo è offuscato dalla cenere e dal fumo. L’umanità è ridotta a una frazione di ciò che era, sopravvivendo in piccoli gruppi sparsi, senza un governo, senza tecnologia e, a volte, senza più la propria umanità.

E infine, si è manifestato il quarto cavaliere: la Morte. Il suo cavallo pallido, quasi traslucido, avanza lentamente, ma inesorabilmente. Il suo passaggio non è violento come quello degli altri, ma segna la fine di ogni speranza. Non è solo il mietitore di vite, ma anche l’annientatore di ogni memoria. Non ha bisogno di un’arma, perché il suo arrivo è il sigillo finale. La sua ombra inghiotte gli ultimi bagliori di luce e di vita, e le ultime anime che lo vedono non gridano, ma accettano in silenzio la loro fine.

Siamo arrivati al punto di non ritorno. La storia non è più ciclica, ma una linea retta che punta a un’unica, inevitabile conclusione. L’Apocalisse non è una minaccia, ma il nostro presente. La fine non è vicina, è qui.

l’Eretico

Di L'eretico dell'invisibile

L'autore si delinea come una mente curiosa, libera da dogmi e imposizioni, che non si accontenta delle spiegazioni preconfezionate propinate da religioni, istituzioni.. o dalla stessa scienza quando si chiude di fronte all’ignoto, tanto definire folle il concetto che 2 più 2 possano far 5.
Definirsi "l'Eretico dell'Invisibile", è già una dichiarazione di intenti.. di guerra.. come quella di andare oltre ciò che è dato per scontato, oltre le narrazioni costruite per mantenere un certo ordine sociale e intellettuale, oltre le verità imposte che nel corso dei secoli hanno modellato la percezione della realtà.
È evidente che l’autore non si limita ad un singolo ambito di ricerca, ma spazia tra spiritualità, mistero, fenomeni paranormali, storia e geopolitica, affrontando tutto con uno sguardo critico e analitico.
Ma non c’è solo il mistero a guidare ad alimentare la sua curiosità. C’è anche la consapevolezza che la storia, così come ci è stata, e ci viene raccontata, è spesso il risultato di una narrazione costruita a proprio uso e consumo dai "vincitori" a cui, anche se gli dedichiamo strade e piazze, gli eroi non sempre sono tali, le guerre non sono mai mosse da ideali puri, le istituzioni hanno intrecci con il potere economico e religioso che sfuggono allo sguardo della massa. L’autore si pone, dunque, come un investigatore dell’invisibile, colui che scava sotto la superficie per portare alla luce le contraddizioni e le ombre della storia e della società contemporanea.
L’Eretico dell’Invisibile, dunque, è quel qualcuno che non si accontenta di sapere perché consapevole dell’importanza del "Sapere di non Sapere".

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