L’Orrore del 7 Ottobre
Era l’alba di sabato 7 ottobre 2023, una giornata di festa religiosa in Israele (Simchat Torah), quando il fragore dei razzi ha rotto un lungo periodo di tregua armata. L’operazione “Alluvione di al-Aqsa”, lanciata dal gruppo militante palestinese Hamas e dai suoi alleati, non era, tuttavia, un attacco missilistico come i precedenti.
Mentre oltre 5.000 razzi venivano sparati verso città israeliane come Tel Aviv e Ashkelon, la vera catastrofe si consumava a terra: centinaia di miliziani armati superavano con incredibile facilità la barriera di confine ultra-tecnologica che separa Gaza da Israele. Usando parapendii a motore, veicoli leggeri e brecce aperte con esplosivi, i combattenti si sono riversati nelle comunità (i kibbutz) vicine al confine, in basi militari e in un festival di musica elettronica nel deserto (Reim).
Per ore, i miliziani hanno seminato morte e orrore. Il bilancio è stato senza precedenti nella storia israeliana: oltre 1.200 vittime, la stragrande maggioranza delle quali civili, massacrate nelle loro case o durante il festival. Inoltre, circa 250 persone, anziani, donne, bambini e soldati, sono state rapite e portate come ostaggi nella Striscia di Gaza.
Questo attacco, per portata e brutalità, è diventato immediatamente il casus belli per eccellenza. Il governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu ha dichiarato lo stato di guerra e ha lanciato l’operazione “Spade di Ferro”, con l’obiettivo dichiarato di distruggere per sempre la capacità militare e politica di Hamas.
il Silenzio e il Fallimento Inconcepibile
È qui che si innesta il quesito più scomodo e, per molti, inconcepibile. Come si può spiegare che l’apparato di sicurezza israeliano — considerato tra i più sofisticati al mondo, con sistemi di sorveglianza d’avanguardia, sensori di terra e una rete di intelligence umana e cibernetica profondissima — sia stato colto di sorpresa da un piano di una tale complessità logistica?
Questa non è stata una scaramuccia, ma un’operazione che ha richiesto mesi di preparazione, addestramento di centinaia di uomini e l’accumulo di munizioni in una delle aree più sorvegliate del pianeta.
Per l’opinione critica, è semplicemente impossibile che l’intelligence israeliana (il Mossad, l’IDF e lo Shin Bet) fosse all’oscuro di tutto. Il clamoroso fallimento è stato troppo totale per essere casuale. Non si tratta solo di una superficiale negligenza; è un dubbio che porta a interrogarsi se sia stato un errore di valutazione strategica deliberato, nella peggiore delle ipotesi… un silenzio intenzionale.
In questa lettura “eretica,” l’attacco sarebbe stato il prezzo terribile da pagare, forse previsto ma non impedito, per ottenere il movente necessario a scatenare la reazione militare massiccia e non più contenibile, finalizzata allo smantellamento definitivo di Hamas e alla ridefinizione degli equilibri nell’intera Striscia di Gaza… e non solo. L’ipotesi critica, basata sul colossale fallimento dell’intelligence del 7 ottobre, suggerisce che la possibilità di una negligenza calcolata non sia remota. Di fronte a un piano d’attacco così ampio che, secondo i critici, non poteva essere totalmente invisibile, l’inazione potrebbe essere interpretata come una scelta strategica, benché cinica e terrificante.
La logica alla base di questa tesi è chiara: anni di blocco e operazioni militari limitate non avevano distrutto Hamas, ma avevano creato una situazione di stallo politico e di insicurezza persistente per Israele. Solo un attacco così scioccante e su vasta scala come quello del 7 ottobre avrebbe potuto fornire al governo di Benjamin Netanyahu, da tempo sotto pressione e criticato per il suo approccio alla sicurezza, la legittimazione internazionale e l’unità nazionale necessarie per lanciare un’operazione militare di sterminio di Hamas e di controllo a lungo termine su Gaza. In questa luce, l’orrore del 7 ottobre sarebbe stato il “prezzo” necessario per sbloccare la situazione.
Indipendentemente dalle motivazioni interne, la cronologia degli eventi successivi non ha fatto che alimentare i sospetti sulla portata degli obiettivi israeliani:
- Spostamento Forzato e Operazioni Urbane: L’ordine di evacuazione di oltre un milione di persone dal Nord al Sud ha creato un esodo biblico, concentrando la popolazione in un’area sempre più ristretta e vulnerabile, prima a Khan Yunis e poi a Rafah. L’offensiva di terra ha metodicamente distrutto le infrastrutture nel Nord, compresi i centri nevralgici della vita civile (università, ospedali e sistemi fognari).
- La Breve Tregua (Novembre 2023): Un momento di pausa, mediato principalmente da Qatar ed Egitto, ha permesso il rilascio di oltre 100 ostaggi israeliani e stranieri in cambio di prigionieri palestinesi. Tuttavia, la tregua è stata di breve durata.
- L’Espansione Sud: Alla ripresa dei combattimenti, l’IDF ha espanso le operazioni a Khan Yunis e nelle aree centrali. Quando quest’area è stata in gran parte “ripulita” dai combattenti di Hamas, l’attenzione si è spostata su Rafah, l’ultimo rifugio per oltre 1,4 milioni di sfollati. L’annuncio dell’operazione su Rafah è stato letto dai critici come la prova di un piano per rendere Gaza inabitabile o per spingere la popolazione palestinese oltre il confine egiziano.
In sintesi, la risposta israeliana, per la sua aggressività e per il suo impatto devastante, è percepita dai sostenitori della tua tesi come una prova a posteriori che l’obiettivo non era solo difensivo, ma strategico: ridefinire radicalmente la presenza palestinese nella Striscia di Gaza.
Complicità Occidentale e la Visione del “Dopo Guerra”
Il conflitto scatenato dal 7 ottobre e dalla successiva reazione israeliana non è mai rimasto un affare isolato. La risposta di Israele è stata supportata, in modi diversi, dalle principali potenze occidentali, un sostegno che, a mio parere, va oltre la semplice solidarietà, configurando una vera e propria complicità geopolitica.
Gli Stati Uniti, tradizionale alleato di Israele, hanno subito fornito un sostegno militare e logistico schiacciante, essenziale per la condotta dell’operazione. Oltre a rifornire munizioni e intelligence, il sostegno più evidente è arrivato in sede diplomatica, in particolare al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove gli USA hanno posto il veto a diverse risoluzioni per un cessate il fuoco immediato, permettendo di fatto a Israele di continuare la sua operazione. Questo blocco diplomatico è visto come un atto di complicità che ha garantito a Israele la libertà d’azione necessaria per perseguire i suoi obiettivi.
I Piani per la Nuova Gaza
Sui piani per il futuro della Striscia si manifesta l’aspetto più controverso di questa presunta complicità. L’idea che il conflitto non sia solo finalizzato alla distruzione di Hamas, ma alla riorganizzazione territoriale di Gaza, è emersa con forza attraverso indiscrezioni e piani ufficiosi discussi a livello internazionale.
I circoli critici sostengono che alcune potenze occidentali e mediorientali abbiano già in cantiere visioni per una “Nuova Gaza” post-Hamas e post-distruzione. Queste visioni, spesso promosse anche in passato, immaginano un’area completamente “ripulita” dalla minaccia e ricostruita come un’oasi di lusso e commercio, finanziata da petro-dollari e gestita da un’autorità palestinese “moderata” o da una forza internazionale.
L’idea è quella di trasformare Gaza da una Striscia bloccata a un hub logistico e turistico, slegando la sua economia dal controllo delle fazioni radicali e integrando Israele. I sostenitori di questa visione, “eretici” come me, vedono in questo non un atto di generosità, ma la cinica preparazione di uno sfruttamento economico post-bellico, dove la ricostruzione sarebbe gestita da interessi esterni, ignorando totalmente la sovranità e l’autodeterminazione del popolo palestinese e traendo profitto dalla distruzione. In sostanza, l’appoggio occidentale e la pianificazione del “dopo-guerra” non sono visti solo come un supporto a Israele, ma come la partecipazione a un progetto che utilizza la distruzione portata dal conflitto per imporre un nuovo ordine geopolitico ed economico nella Striscia.
Conclusioni Eretiche
L’analisi della guerra a Gaza, a partire dal massacro del 7 ottobre, ci costringe a guardare oltre la narrazione ufficiale della risposta difensiva. L’entità senza precedenti del fallimento dell’intelligence israeliana non può essere liquidata come un semplice errore operativo. È il sintomo di una paralisi, che per i critici, è stata strategica.
Il sospetto eretico che persiste è che l’orrore del 7 ottobre – per quanto non interamente pianificato o desiderato – sia stato permesso o ignorato in modo funzionale. Solo un casus belli di tale portata poteva sbloccare lo stallo politico e garantire l’unità e la legittimazione internazionale necessarie per lanciare un’offensiva totale che aveva come obiettivo non solo la distruzione di Hamas, ma la ridefinizione radicale della Striscia di Gaza.
Il Danno Permanente e la Complicità
La risposta israeliana, caratterizzata dall’assedio totale e dalla distruzione massiccia, non solo ha causato una catastrofe umanitaria, ma ha anche esposto il cinismo geopolitico degli alleati occidentali. Il sostegno militare incondizionato, il veto sistematico alle Nazioni Unite e le indiscrezioni sui piani di ricostruzione “di lusso” per una “Nuova Gaza” post-conflitto, suggeriscono una complicità attiva nella creazione di un nuovo ordine territoriale. Un ordine che sembra ignorare il diritto all’autodeterminazione palestinese a favore di interessi di sicurezza ed economici esterni.
Un Futuro Ipotecato
La vera vittoria di questo conflitto non sta nella distruzione dei tunnel o nell’eliminazione di alcuni leader di Hamas, ma nella capacità di Israele e dei suoi alleati di trasformare la narrazione del 7 ottobre da un clamoroso fallimento interno a una giustificazione per la guerra.
A guerra finita, ciò che resterà sarà una Striscia di Gaza devastata e una domanda inevasa: Se l’intelligence era davvero a conoscenza, qual è stato il reale obiettivo politico raggiunto con la distruzione di massa?
Il costo umano, l’escalation regionale e la morte della soluzione a Due Stati sono il prezzo che il Medio Oriente ha pagato per un fallimento che, per troppi, appare come un’inazione calcolata. La storia non giudicherà solo gli aggressori, ma anche chi ha voltato le spalle per motivi strategici, chi ha fallito nel proteggere i propri e chi ha poi armato la risposta sproporzionata.
La guerra di Gaza, dal 7 ottobre in poi, non è nata da una sorpresa, ma da un vuoto di sicurezza che, sospettosamente, si è dimostrato essere estremamente utile.