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Francisco Goya e la serie delle “Pitture nere”

Goya, artista dal grande talento e dotato di un’inesauribile immaginazione, nell’ultimo periodo della sua vita ha raffigurato, nella serie delle Pitture nere, le sue inquietudini personali e quelle della sua epoca.

Goya, artista dal grande talento e dotato di un’inesauribile immaginazione, nell’ultimo periodo della sua vita ha raffigurato, nella serie delle Pitture nere, le sue inquietudini personali e quelle della sua epoca.

Francisco José de Goya y Lucientes (Fuendetodos, 30 marzo 1746 – Bordeaux, 16 aprile 1828), pittore e incisore spagnolo è ritenuto l’ultimo degli antichi maestri e un anticipatore dell’arte moderna.
Tra i più importanti pittori spagnoli vissuti a cavallo del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, Goya nei suoi dipinti ha raffigurato i cambiamenti storici in atto e le sue opere hanno ispirato i più grandi artisti della sua epoca e di quella successiva.

Nel periodo in cui lavorò alla corte dei re spagnoli, l’artista si dedicò principalmente ai ritratti di membri della nobiltà e della famiglia reale spagnola. Negli anni successivi al 1790, la sua produzione artistica prese una piega cupa, venata di pessimismo, così come angosciata era la sua visione della vita, nonostante la sua carriera artistica fosse in netta ascesa.

Nel 1807, gli eventi legati alla guerra d’indipendenza spagnola colpirono profondamente Goya e ciò è evidente nei suoi dipinti di quel periodo. Anche le opere della maturità affrontano tematiche altrettanto cupe, come la follia, le streghe, i manicomi, la corruzione religiosa e politica.
Proseguendo su questo filone tragico, possiamo affermare che Goya ne raggiunse il culmine con le “Pitture nere” degli anni tra il 1819 e il 1823.

Nel 1824, l’artista lasciò la Spagna e si trasferì a Bordeaux, dove terminò la serie de “La Tauromaquia” e altre importanti opere. Morì il 16 aprile 1828, all’età di 82 anni. In seguito, la salma fu trasferita nella Chiesa di Sant’Antonio della Florida a Madrid.

Francisco Goya era dotato di una grande inventiva e si impegnò molto anche sul fronte politico. Fu anche un attento osservatore degli eventi storici della sua epoca: le sue opere sono lo specchio delle mutazioni, degli stravolgimenti e dei conflitti cui assistette durante la sua vita, e che tanto colpirono la sua immaginazione, provocando in lui forti emozioni che lui trasferì nelle stampe prima e poi nei suoi dipinti.

Una singolare carica emozionale contengono le opere del suo ultimo periodo. Si tratta di creazioni misteriose e oscure realizzate nella “Quinta del sordo”, la sua fattoria alla periferia di Madrid. Il nome dell’abitazione fa riferimento alla sordità di Goya, sulla quale lui ironizzava.
L’artista iniziò a dipingere le pareti del soggiorno e della sala da pranzo. Le tinte sono tendenzialmente scure e vagano dal marrone al nero; bianchi sporchi si mescolano a neri spessi; ocre, rossi e gialli violenti donano sprazzi di vitalità ai soggetti inquietanti che sembrano spuntati da terribili incubi.

Goya ha dato vita a queste immagini oscure, dipingendo direttamente sull’intonaco. Questi lavori sono stati ribattezzati “pinturas negras” (pitture nere).
Nelle opere assistiamo a scene di violenza miste a malvagità e disperazione. Esse manifestano il pessimismo e l’angoscia di un uomo anziano, sordo e ormai disilluso dalla società. In queste espressioni artistiche si intravedono già i semi dell’espressionismo e del surrealismo.

Le Pitture nere sono una serie di quattordici murali realizzati con la tecnica a olio su pareti ricoperte di gesso. Furono concepiti come decorazioni della sua casa a Madrid, acquistata nel febbraio del 1819.
Goya non diede un nome a queste opere, esse furono catalogate solo nel 1828, da Antonio de Brugada, amico dell’artista che diede loro i seguenti nomi: Atropo, Due uomini anziani, Due vecchi che mangiano, Duello rusticano, Il sabba delle streghe, La lettura, Giuditta e Oloferne, Il pellegrinaggio a San Isidro, Due donne e un uomo, Pellegrinaggio alla fontana di San Isidro, Cane interrato nella rena, Saturno che divora i suoi figli, La Leocadia, Visione fantastica.

Nel 1823, la casa del pittore divenne proprietà del nipote, Mariano Goya, che la preservò dalle conseguenze dei cambiamenti politici avvenuti in Spagna.
Si conobbe l’esistenza di queste Pitture nere solo intorno al 1874, quando il nuovo proprietario della Quinta del sordo, il banchiere franco-tedesco Émile Baron d’Erlanger, le fece trasferire su tela, per mostrarle all’Esposizione Universale di Parigi del 1878. Nel 1881, poi, il banchiere le donò al Museo del Prado, dove sono attualmente esposte.

Goya per le Pitture nere si avvalse della tecnica delle grottesche, un particolare tipo di decorazione pittorica parietale, che risale alla pittura romana di epoca augustea. Questo stile fu riscoperto e divenne popolare a partire dalla fine del Quattrocento. Le raffigurazioni tipiche della grottesca erano esseri ibridi e mostruosi, chimere, che erano associati a decorazioni geometriche e naturalistiche, su uno sfondo che, solitamente, era bianco o comunque monocromo.

Goya fu fedele al genere, dipingendo streghe, demoni e goblin, che nel suo caso rappresentavano la violenza, l’ignoranza e la superstizione cieca. Tra questi angoscianti dipinti ricordiamo: “Saturno che divora i suoi figli”, indubbiamente tra i più impressionanti della serie. Saturno è rappresentato mentre porta alla bocca il corpo di suo figlio. L’immagine del dio è terribile: gli occhi sono sgranati, le fauci sono spalancate e le mani sono avide. Il colore rosso testimonia la ferocia e l’efferatezza del gesto. In questo dipinto si è creduto di ravvisare un’allegoria del Santo Uffizio o del potere assolutista di Ferdinando VII.

Un altro dipinto della serie è “Due vecchi che mangiano” che mostra, appunto, due vecchi a tavola. Uno di loro è ridotto a uno scheletro, già morto e in decomposizione, ma ancora intento a “mangiare come un matto”. L’artista è riuscito a rendere con grande abilità le deformazioni dovute all’età e alla malattia. Le due figure rappresentate sono inquietanti, semplificate al massimo. Osservandoli, proviamo disgusto, ma anche compassione e malinconia per quanto hanno perduto: la giovinezza, la salute e la forza.
Goya dipinse queste grottesche all’età di 74 anni. Era già un uomo malato e sordo e soprattutto, era conscio della debolezza in cui versava il suo Paese.

In “Duello rusticano” sono raffigurati due contadini che combattono con le gambe incastrate in un pantano. Non possono sfuggire l’uno all’altro, l’unica possibilità è colpirsi a vicenda, finché non sopraggiunga la morte di uno dei due. Secondo gli studiosi, il dipinto rappresenta la violenta guerra civile spagnola.

La più enigmatica tra le Pitture Nere è il “Cane interrato nella rena”. Dell’animale nel dipinto emerge solo la testa da una superficie color ocra; sta per essere sommerso dalla sabbia e lotta disperatamente per salvarsi. Questa raffigurazione simboleggia l’uomo che è travolto dall’inesorabilità del tempo.

“Pellegrinaggio a san Isidro”, altro dipinto della serie, rappresenta un corteo di grotteschi personaggi con gli occhi stralunati e le bocche spalancate.

Ne “Il sabba delle streghe” o “Il grande caprone”, dalla tonalità nera emerge il bianco degli occhi di maghi e streghe. I volti sono deformi e macilenti, i capelli coperti da veli, mentre gli atteggiamenti tradiscono una sorta di concitata frenesia, come se tutti fossero in attesa che il caprone nero si pronunci.

In questa inquietante serie di dipinti, esiste anche un piccolo testimone che forse è il soggetto che più si avvicina alle emozioni provate da Goya in questi ultimi difficili anni della sua esistenza. Si tratta di un cagnolino, seminascosto, dallo sguardo spaurito che osserva impotente le scene terribili attorno a lui, una sorta di autoritratto dell’artista che appare ormai come uno spettatore indifeso e pur sempre protagonista, al pari delle figure conturbanti e misteriose che lo circondano.

In copertina: Francisco Goya, particolare de “Il pellegrinaggio a San Isidro” (1819-1823)

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