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Tanatologica(mente)

L’optografia forense

A quanto pare era possibile fissare l’ultima immagine che vediamo prima di lasciare questo mondo: si registrerebbe cioè un otpogramma, ovvero ciò che gli occhi mantengono dell’ultima visione.

Descritta e utilizzata nel XIX e XX secolo, tale pratica ad oggi non verrebbe considerata attendibile: attraverso un otpogramma si potrebbe invero “estrarre” concretamente dall’occhio l’ultima scena, circostanza vissuta dal deceduto, soprattutto per risolvere casi di morte violenta.

Si deve a Wilhelm Kühne, verso la fine dell’800, la nascita di questa pratica curiosa quanto bizzarra: partendo dalla scoperta del chimico Franz Christian Boll per quanto concerne la rodopsina – un pigmento fotosensibile presente nella retina dell’occhio umano.

Tale pigmento poteva essere fissato proprio come nel caso di un negativo fotografico: stando al primo esperimento di  Kühne, effettuato su un coniglio albino, fu possibile scoprire che l’ultima cosa vista dall’animale fu una finestra.

Dall’esperimento sulla bestiolina,  Kühne premette molto per realizzare tale pratica anche sull’uomo: nel 1880 venne prelevato l’occhio di un condannato a morte – tale Erald Gustav Reif – così da poterlo analizzare.

Credits: Hermes

In verità i risultati non furono buoni: il giustiziato era bendato al momento della decapitazione, quindi non si vide nulla.

Gli studi e le ricerche sull’optografia continuarono però nel corso della storia: risale al 1975 una ricerca del docente Evangelos Alexandridis, che ripropose uno studio partendo dall’occhio – anche in questo caso – di un coniglietto.

I risultati però furono determinanti nel confermare che in ambito forense tale pratica sia del tutto inutile, soprattutto dopo aver utilizzato strumentazioni e indagini all’avanguardia.

Ad oggi, tale metodo è totalmente accantonato.

Credits: Criminal Intent

Di Beatrice Roncato

Tanatologa Culturale, Tanatoesteta e Cerimoniere Funebre

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