Squarcio bianco in un sole di Maggio, squarcio rosso nella luna di Settembre, uno squarcio urla al sole in una domenica di primavera, ed è subito silenzio.
Una notte, qualcosa cambiò, nessuno taglio, difetto, colore, emozione, storia o immaginazione si aprì quella notte tra le nuvole, come barche in mezzo al mare, trasportate nel nulla, abbandonate nel nulla, possenti relitti galleggianti che trasmutavano accarezzati dalle correnti spaziali.
Niente di più niente di meno che un cigolio di rarefatte sensazioni che tra le mani della gente si potevano percepire come tutta una vita, come tutta un’esistenza fatta di piccole incomprensioni, di gioie, di dolori.
Piccole infinitesimali particelle, piccoli universi occultati agli occhi delle creature terrestri, intorno a loro e dentro di loro, ne trasmutati, ne cambiati, ne alterati nel tempo, ancor prima che la materia prendesse la forma che conosciamo, molto prima che tutte le stelle scontrandosi una all’altra formarono la realtà che percepiamo.
Restano lì, immobili, padroni incontrastati di questo universo, alterati unicamente da un qualsiasi flebile passaggio, o smossi solamente dal destino del fato, che come fa oscillare le fronde degli alberi, fa danzare queste piccole creature nell’aria.
Arrivando da un cosmo a noi sconosciuto, sono i primi visitatori di un mondo che sta arrivando, precipitando nel nulla senza controllo alcuno, ad una velocità che nemmeno la fantasia potrebbe mai sperare di comprendere, eppure così immobile e lontano, eppure alla vista fermo e stanco.
Che al suo passaggio disgregherà ogni particella e come schegge impazzite ricomporrà una nuova esistenza, seppur diversa, seppur alterata, si potrà sempre comprendere che non c’è alcuna persona lassù, nessun uomo viene dal cielo.