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Tanatologica(mente)

La Mummia Juanita

Risale al 1995 il ritrovamento della Regina dei ghiacci, nel Perù meridionale, una mummia appartenuta ad una ragazza Inca e rimasta intatta per oltre 500 anni.

Risalente al XV secolo, la Momia Juanita è altresì conosciuta come la Signora di Ampato o Regina dei Ghiacci, in virtù della località in cui è stata trovata (il Monte Ampato per l’appunto) e dell’ottimo stato conservativo dovuto alle basse temperature tipiche della montagna (qui parliamo di 6288metri di altitudine!).

Il corpo, trovato l’8 settembre del 1995 da un gruppo di ricercatori quali Johan Reinhard – un antropologo – e il suo collega Miguel Zarate venne portata ad un’esibizione statunitense nel 1996 e, successivamente nel 1999 in Giappone sempre per una mostra per poi tornare definitivamente in Perù.

Se non fosse stato per lo scioglimento che interessò il ghiacciaio, dovuto alla cenere vulcanica del vulcano poco distante dal Monte Ampato, la scoperta non sarebbe mai avvenuta.

Insieme al corpo di Mummia Juanita, inoltre vennero trovati anche altri due corpi.

L’ottimo stato di conservazione ha permesso alla coppia di antropologi di risalire alla presunta storia che si nasconde dietro a questa sepoltura, nonchè accedere alle informazioni basilari in merito ad alimentazione e usanze degli Inca: il corpicino, al momento del ritrovamento, pesava circa una quarantina di chili ben conservati permettendone in tal modo un’accurata analisi del fegato, dei muscoli e dei polmoni, oltre che dei tessuti.

Credits: National Geographic

I ricercatori suppongono che la piccola mummia fosse stata vittima di una qualche sora di rituale sacrificale altrettanto conosciuto come Capacocha (Capac Cocha), un rito obbligato nella società.

A quanto pare Juanita aveva un’età compresa tra i 12 ed i 15 anni, altresì i due corpi trovati a poca distanza da lei risultano essere di due infanti, forse suoi compagni sacrificali.

Il rito, nello specifico, richiedeva il sacrificio di coloro che – nella società -fossero più sani: in tal modo si placavano le ire degli Apu, gli dèi dei monti, o si chiedeva il non avvenimento di disastri.

Veniamo dunque al corpicino di questa mummia: oggi conservato in una teca appositamente creata per lei, al momento del ritrovamento sappiamo che era rinchiusa in un fagottino contenente dei monili e altri manufatti: statuette di argilla, oggetti d’oro e persino conchiglie; cibo, foglie di coca e una bevanda alcolica.

La bevanda, forse, serviva proprio per placare i piccoli, forse impauriti dal rituale, pratica comunque comune tra gli Inca prima di praticare qualsivoglia forma di rito sacrificale.

Dalle analisi e dalla tac, pare che la piccola sia stata colpita alla testa in modo violento, tanto da provocarle una seria emorragia che l’ha portata al decesso.

Credits: Tips4Trips

Inoltre, attraverso l’analisi isotopica dei capelli si è potuta analizzare la tipologia di alimentazione della piccola e il cambiamento di dieta nell’ultimo anno di vita della stessa, periodo in cui si presume sia stata prescelta per il sacrificio.

In che modo? Grazie all’ottimo stato di conservazione è stato rilevato infatti che fino ad un anno prima seguiva una dieta normale, comprendente di verdure e patate: nell’ultimo anno di vita furono introdotte proteine di origine animale e mais, cibi elitari.

Per farle visita, oggi, basta recarsi al Museo Santuario Andinos, nella città di Arequipa, poco distante dal Monte Ampato.

Di Beatrice Roncato

Tanatologa Culturale, Tanatoesteta e Cerimoniere Funebre

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